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Ancora una lezione da Covid19. Per l’anima
Un digiuno salutare
3 maggio 2020
Le reazioni
più diverse hanno caratterizzato questo tempo di digiuno da
cerimonie, riti, processioni. Perfino dalla messa domenicale. Chi
critica i vescovi italiani per eccessiva subordinazione ai politici, chi
accusa il governo di non rispettare la religione e non voler vedere il
bisogno che ha un credente di partecipare ai riti sacri.
Sta di
fatto che questo tempo di quaresima e di Pasqua anche noi l’abbiamo
vissuto nel deserto, tentati da Covid19. E la tentazione, meglio,
la messa alla prova (il greco peiràzo significa mettere
alla prova) continua. Tra religione e spiritualità. Potremmo dire:
la religione messa alla prova nel crogiuolo della spiritualità.
Lo so che
un certo pensiero integralista non solo non condivide
quest’osservazione, ma non tollera neppure che si possa mettere sul
tavolo. Per tanti la religione è sorgente e culmine, oltre che luogo
esclusivo, in cui trova spazio e vita ogni spiritualità. Ma non è così.
La dimensione spirituale appartiene ad ogni essere umano, donna,
uomo o bambino, indipendentemente dal fatto che aderisca o meno ad una
religione. Ciascuno ne viene in contatto quando ascolta le domande che
abitano il suo cuore, domande sulla vita e sul senso di tutto quanto le
appartiene. La religione, troppo spesso, fa mettere le domande in un
angolo, quando non le costringe ad asfissia, e dà le sue risposte.
Perché la religione, ogni religione, ha risposte da offrire. Verità da
mostrare. Dottrina da proporre. Al punto che se tra chi aderisce ad
un’istituzione religiosa, sia essa chiesa o moschea o tempio o sinagoga,
qualcuno osa portare domande e chiede apertura di dialogo su temi che
per quella chiesa sono princìpi non negoziabili, il dialogo
s’interrompe e ti senti messo da parte, perché... la dottrina è certa.
Era dentro
questo pensiero anche lei, credo, quella donna di Samaria cui
Gesù un giorno, stanco e affaticato, chiede da bere: sono entrambi
davanti a un pozzo e lei ha la tinozza per attingere l’acqua.[1]
È un lungo dialogo che i due intessono. Un confronto articolato, che
Giovanni costruisce in un crescendo sempre più ampio: da un po’ di sete,
vista l’ora e il caldo, alla sete dell’anima, in un’intimità sempre più
profonda tra i due. Gesù e una donna. Estranei, non si conoscono;
stranieri, tra giudei e samaritani non corre buon sangue; ed entrambi
fuori posto, irregolari: una donna non si ferma a parlare con uno
sconosciuto, né un maestro si mette a parlare con una donna.
Ma il
dialogo va avanti perché sia lei sia lui vogliono
comprendere. Ed ecco che lei, oltrepassando ogni remora culturale e
religiosa, arriva alla domanda centrale: dove bisogna adorare Dio,
nel tempio a Gerusalemme come dicono i giudei, o sul monte Garizim come
ci hanno insegnato i nostri padri? E qui la risposta di Gesù: né a
Gerusalemme né su questo monte, perché Dio è Spirito, ed è in Spirito
e Verità soltanto che possiamo incontrarlo. Non solo, è in
Spirito e Verità che lui desidera incontrarci. Il tempio, come tutti
i luoghi di culto di una religione, era gremito zeppo di riti,
cerimonie, incensi, offerte, sacrifici... ma tutto questo, nel tempo,
l’aveva trasformato in luogo di mercato anziché luogo d’incontro
con Dio.[2]
Questi
giorni ci siamo ritrovati costretti a non poter accedere alle nostre
chiese. Alle sinagoghe, alle moschee. I templi di oggi. Deprivati di
riti e cerimonie. Una sorta di digiuno. Forzato.
Ebbene,
dove siamo con il nostro spirito? Dio, spirito e verità, abita nel cuore
delle sue figlie e dei suoi figli. Non sembra a voi una buona occasione
per riscoprire questa dimensione dello spirito che porterà anche
ad una purificazione di tanta nostra religiosità? Non sono in
contrapposizione le due cose, hanno bisogno però di ritrovare l’uno, lo
spirito, ossigeno pulito, l’altra, la religione, un processo di
purificazione da tante sovrastrutture (riti, cerimonie, offerte,
processioni) che rischiano il soffocamento della spiritualità.
Religione e
spiritualità hanno bisogno d’incontrarsi. In un ascolto reciproco che,
se libero, diventerà arricchimento per entrambi.
Un ultimo
pensiero. Che non svilupperò ulteriormente, visto che l’abbiamo
incontrato anche domenica scorsa.[3]
Con chi Gesù fa un discorso così dirompente e innovativo? Con una
donna. Insiste, eh!? Proprio non gli va giù, si direbbe, che la
donna venga vista e trattata come un essere inferiore. Con lei, una
donna, arriva perfino a rivelarsi come il Messia atteso: “Sono io,
che parlo con te”. Neanche con Pietro e i suoi l’aveva mai fatto. Lo
ripeterà solo davanti al Sinedrio, anche se sa che gli costerà la
condanna.
Ancora
un’occasione di apprendimento offerta da Covid19: due settimane
fa ci ricordava che noi, homo sapiens, apparteniamo alla terra.[4]
Oggi ci dà occasione per sollevare lo sguardo e prenderci cura del
nostro spirito. Per rinnovare e purificare certa religiosità quando
questa si lascia ricoprire da incrostazioni rigide, come tante norme,
regole, riti, tradizioni.
Non so che
ne pensate. Ma che questa pandemia possa diventare una buona occasione
di crescita, a me pare che possiamo anche dircelo.
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