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Voci diverse in dia-logo con questa pagina
L’orchestra
(1)
31 maggio 2020
Questi
giorni abbiamo salutato Ezio Bosso, pianista e direttore d’orchestra. Un
uomo che a soli 48 anni ha terminato quella parte del viaggio della vita
che noi ancora stiamo percorrendo. In un’orchestra, diceva, non si cerca
di suonare meglio per distruggere il nostro vicino: si suona meglio
perché anche lui suoni meglio.
Con piacere
ho trovato che il nostro settimanale si anima di voci che cercano di
dire e di ascoltare. Meglio: ascoltare, poi dire. Nella consapevolezza
che ciascuno porta il proprio contributo nel cammino verso la Verità.
In
un’orchestra ogni professore ha il suo spartito, e ogni strumento la sua
voce. Se il violino dicesse che la sua parte è la più bella quindi gli
altri devono abbandonare la propria e suonare tutti la sua linea
melodica, non avremmo più una sinfonia, ma una voce unica. Povera e,
quasi sicuramente, insignificante. La ricchezza del suono, del ritmo e
delle voci che parlano e si ascoltano, insieme, sfumerebbe in un soffio.
Non avremmo più Mozart o Beethoven. Avremmo dei suoni poveri,
irriconoscibili, sovrapponibili gli uni agli altri. E perderemmo
armonia, timbri, colori, fantasia. La sinfonia (syn insieme e
phōnè suono, voce) morirebbe. La musica morirebbe. La voce di
un’orchestra è il risultato delle tante voci dei tanti strumenti e dei
tanti musicisti. Ciascuno ha il proprio spartito e non ce n’è uno di cui
si possa fare a meno. Né uno è più necessario di altri. Ci saranno
momenti in cui la voce della viola o del flicorno o della tromba prevale
sulle altre. Ma lasciata sola non darebbe la ricchezza di colore e di
emozioni che insieme con le altre riesce a trasmetterci.
Ricordate i
girasoli di Van Gogh? Immaginate ora che, complici le moderne
tecnologie, togliamo il giallo da uno di questi quadri. Ne risulterebbe
una confusione di colori sicuramente senza vita. E se invece, lasciando
pure il giallo, togliessimo l’azzurro o il nero o il verde... non
pensate che tutto il quadro ne risulterebbe povero e asfittico? Ogni
colore ha il suo peso e la sua voce. È insostituibile. Lo è nella mente
dell’artista. Lo è nella nostra che ne godiamo l’armonia.
Ecco. Sono
le tante voci che compongono l’opera d’arte. Nella musica, nella
pittura. E, perché no, anche nella politica. E... nella chiesa. Ogni
voce è necessaria. Indispensabile. L’oboe non può dire: io ho già dato
il la, quindi mi taccio, tanto ci sono gli altri che suonano.
Così un parlamentare, eletto dal popolo per amministrare la cosa
pubblica (res publica). Così un credente all’interno della
propria comunità. Cattolico o protestante o musulmano. Ciascuno
ha la sua parte. Il bene comune si realizza se ciascuno fa bene la sua:
ognuno ha la responsabilità di sé e dell’altro. Proprio come in
un’orchestra o in un quadro, dove ogni strumento, ogni colore porta il
proprio contributo. E dall’insieme delle voci nasce l’armonia.
Più volte
arrivano voci discordanti, toni aggressivi. Distonie. A cosa servono? A
che serve voler imporre la propria opinione, convinti di possedere la
verità. Magari solo perché occupo quel determinato posto. Il direttore
d’orchestra sa che suo compito non è strappare il flauto dalle mani del
flautista e mettersi a suonarlo lui. Ne nascerebbe un disastro. Suo
compito è ascoltare le voci, sincronizzare i tempi,
armonizzare l’insieme. Ma può farlo solo se sa ascoltare la
voce di ciascuno. Cosa l’autore di quella musica chiede a ciascuno.
Spesso
usiamo la parola dialogo. Come se fosse facile, e subito
esprimesse armonia. È un grande equivoco. Dialogo (dià tra
e lògos parola, pensiero) è una delle parole più difficili da
coniugare. Il greco dià indica distanza. Nel cerchio il
diametro (dià e mètron misura, spazio) segna i punti
più lontani della circonferenza. Nel linguaggio delle religioni la
parola diavolo (dià e bàllo, mettere, porre) indica
l’attività di alimentare separazioni, conflitti, contrasti. Il
distanziamento.
Ecco perché
ho parlato all’inizio di piacere nel vedere qui, sul nostro
settimanale, voci che provano ad ascoltare e a dire. Anche con la forza
del disaccordo. Ma con il coraggio del rispetto verso chi porta
opinioni diverse. Parlarsi tra chi la pensa allo stesso modo non è vero
dia-logo: è condivisione, sostegno reciproco, conforto. Cose senz’altro
buone. Ma parlarsi da posizioni diverse, lontane, distanti, senza però
chiudere con giudizi tranchant verso chi coltiva altri pensieri, è vero
dia-logo. Che non può scivolare verso la parola dia-volo,
cioè separazione, contrasto.
Grazie a
Claudio, Gianfranco, Gloriano, Remo, Silvano. Lo Spirito, che dà a
ciascuno un compito diverso e l’Energia per attuarlo, alimenti l’ascolto
e l’incontro.[1]
(1. continua)
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