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Dal significato della parola al valore del libro
È un’apocalisse...!?
6
settembre 2020
Coincidenze. O, meglio, come preferiva dire Jung, sincronicità
(da syn insieme, e chrònos tempo). Cioè simultaneità. Un
incontro tra fenomeni o eventi che si verificano nel medesimo tempo.
Dove la coincidenza è solo temporale, senza altri legami né di
dipendenza né di causalità tra l’uno e l’altro. Così è avvenuto.
Nell’ultimo numero di Voce, nell’intervista a un giovane medico a
contatto con la pandemia, trovo nel titolo «... di ritorno dall’apocalisse».
La settimana precedente ero stato invitato a un Corso Biblico, presso il
monastero di Fonte Avellana, sul libro Apocalisse.
Per
Jung la sincronicità non è un evento puramente casuale: dal suo punto di
vista è un invito a cercare di cogliere i nessi e ad interrogarci su
possibili significati che quest’incontro comporta per chi ci si trova
coinvolto. A me è sembrato un richiamo a dedicare il nostro appuntamento
di oggi proprio a questo libro straordinario.
Con
due obiettivi. Il primo, restituire alle parole il loro significato.
L’altro, provare ad incontrare un libro che a prima vista sembra dirti:
chiudimi subito, tanto non puoi capirci niente.
La
parola. Come nell’esempio che citavo da Voce, nel linguaggio comune
quando diciamo è un’apocalisse di solito intendiamo che ciò di
cui stiamo parlando è una tragedia, un disastro, un cataclisma. Un
evento che non avremmo voluto incontrare, tantomeno trovarcisi
coinvolti. Ma la parola apocalisse non significa questo.
Come
tante altre parole che usiamo ogni giorno, anche questa deriva
dall’antica lingua greca. Apokàlypsis è formata da apò
(allontanamento) e kalỳpto (nascondere). Quindi significa
non-nascondere, dis-velare. La traduzione corretta di APOCALISSE quindi
è RIVELAZIONE.
Cos’ha
da spartire con tragedia, disastro e voci simili? Niente! Perché allora
viene comunemente usata con questi significati? Ne troviamo la ragione
quando apriamo il libro e iniziamo a leggerlo.
Il
testo ha uno stile tutto particolare: si presenta con una miriade di
immagini, per di più dall’apparenza strana e di primo acchito
incomprensibili. Avete presente quei sogni che al mattino ci
lasciano senza parole? Ci troviamo in un posto, poi in un altro che con
il primo non c’entra niente; incontriamo una persona che ci richiama uno
che nella realtà conosciamo bene, ma nel sogno ha il suo nome ma il viso
o il corpo è tutto diverso; sentiamo parlare qualcuno che ci pare di
conoscere, poi questi scompare e ci ritroviamo da tutt’altra parte;
stiamo per prendere un treno, ma il treno sparisce e ci ritroviamo in
mezzo alla campagna, soli, con dei cani che minacciano di aggredirci...
Ciascuno di noi qui riempirebbe un’enciclopedia con i sogni strani e
incomprensibili che l’hanno accompagnato nelle sue notti, recenti o
lontane!
Ecco,
il libro Apocalisse (= Rivelazione) usa un linguaggio simile. È
ricchissimo d’immagini che si accavallano e s’intrecciano l’una con
l’altra. Difficili da pensare, perfino da immaginare il più delle volte.
Quando
nasce questo libro e perché usa un linguaggio che parla più con immagini
che con ragionamenti? Apocalisse è l’ultimo libro della Bibbia (che, lo
ricordiamo, è una raccolta di libri: biblìa, parola greca, è il
plurale di biblìon, libretto: quindi Bibbia significa
Libretti). È scritta intorno agli anni 94-95, nel pieno delle
persecuzioni di Domiziano, che nell’81 era succeduto a Tito. Periodo
durissimo per i cristiani. Roma non può accettare che il suo imperatore
non sia riconosciuto e venerato come un dio. Gesù era stato giustiziato
appena sessant’anni prima, sotto Tiberio, ma già troppi erano quelli che
nel suo nome rifiutavano il culto al Cesare di turno. In un periodo così
duro era facile lasciarsi prendere dallo sconforto e dalla sfiducia
nell’attesa di un ritorno del Cristo che allora era atteso in tempi
ravvicinati. Ma il Maestro tardava a venire. E Roma era troppo potente
per pensare che sarebbe crollata. (Giusto per avere un’idea, possiamo
pensare alle persecuzioni degli ebrei sotto il nazifascismo).
Perché
la parola Rivelazione a titolo del libro? Di quale rivelazione si
tratta? Prendiamo un’immagine: «Un angelo possente allora prese una
pietra simile a una grande macina e la scagliò nel mare, dicendo: "Così
sarà scaraventata d’un colpo Babilonia, la grande città e non la si
troverà più"». Babilonia, che nella tradizione ebraica rappresenta la
prigionia, la deportazione, il male, è Roma. Anch’essa, pur con tutta la
sua potenza, avrà fine e precipiterà in fondo al mare. (Attualizzare la
Scrittura porterebbe a chiederci chi o cosa può rappresentare
Babilonia per l’umanità di oggi... ma adesso non possiamo farlo:
magari ci torneremo).
Ci
muoviamo verso la fine del libro, ora. Troviamo ancora parole di vita:
«Egli, Dio-con-loro, asciugherà ogni lacrima dai loro occhi: la morte
non ci sarà più, né lutto né grido né affanno ci saranno più... Ecco,
io faccio nuove tutte le cose». E a conclusione: «Sì, vengo presto.
Vieni, Signore Gesù».
Trovate ancora che apocalisse è sinonimo di disastri?
Ecco
perché abbiamo bisogno di recuperare il vero significato di questa
parola. Ma, ancor più, il senso, il messaggio, anche per noi oggi, di un
libro così coinvolgente e straordinario!
[1] Apocalisse
18,21; 21,4-5; 22,20
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