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Verona, marzo 2019. Tra congresso e contro-congresso.
Riflessioni
Integralismi in agguato
2 giugno 2019
Offrire
cibo integrale e biologico al nostro corpo significa fornirgli
un’alimentazione sana e ricca di tutti quegli elementi di cui ha bisogno
per coltivare e conservare uno stato di benessere. Alimentare con
integralismi la nostra anima significa porla in una condizione
insalubre e asfittica. Perché ogni volta che ci lasciamo tentare da
integralismi le chiudiamo ogni via verso il confronto e il dialogo. E
l’anima, lo spirito, o comunque vogliamo chiamare questa dimensione di
noi stessi, non vive se priva della possibilità di aprirsi all’altro.
Tra singoli. E tra gruppi. Sociali, politici o religiosi che siano.
Un brutto
esempio di integralismi radicali l’abbiamo avuto due mesi fa a Verona
con il World Congress of Families (Congresso Mondiale delle
Famiglie) e il relativo contro-congresso che, per le strade della
città, l’ha accompagnato. Sembrava di essere tornati indietro di cinque
secoli, ai tempi della Riforma (protestante) e della Contro-riforma
(cattolica). Una pagina così amara che ci son voluti tutti questi
cinquecento anni per ritrovare un via di dialogo. Aperto al confronto e
al riconoscimento della dignità di ciascuno e della ricchezza della
differenza.
Se per
«affermare, celebrare e difendere la famiglia naturale», quella formata
da un uomo e una donna, posizione legittima e condivisibile, si rende
necessario impedire ad altri il vedersi riconosciuto il diritto ad una
vita affettiva e sessuale, molto debole mi pare il pensiero che sostiene
l’obiettivo. Visto che la natura, che conduce la grande
maggioranza degli esseri umani a trovare la realizzazione di sé
nell’incontro con una persona di sesso diverso, è la stessa che porta
altri, una minoranza in senso numerico, a sentire il bisogno e il
desiderio verso una persona dello stesso genere. A che serve impedire il
riconoscimento civile e, a mio parere, anche religioso per chi lo
desidera, di una coppia che intende vivere una relazione d’amore nel
rispetto e nella fedeltà reciproci?
Dall’altra
parte, qual è il senso di posizioni così radicali da perdere di vista,
per esempio, che proprio di un bambino è il diritto ad avere un padre
e una madre? Per cui arriviamo a mettere sullo stesso piano il
diritto di due adulti dello stesso genere a vedersi riconosciuti nella
loro relazione di coppia, e un analogo (presunto) diritto ad avere dei
figli. Dimenticando, innanzitutto, che nessuno, né donna né uomo,
né etero né omoaffettivo, ha il diritto ad avere un figlio.
Un
figlio non è un diritto. Un figlio è una persona. E nessuno può
accampare diritti su una persona.
Diverso,
invece, è che due adulti, liberi e responsabili, possano decidere di
condividere un progetto di vita. Guidati legittimamente
dall’orientamento affettivo che la natura stessa ha posto nel
loro cuore. E, sembra, nella loro biologia – dico sembra perché
su questo le scienze, mediche e psicologiche, non sanno ancora darci
risposte definitive.
Comprendo
bene come l’intransigenza degli uni porti gli altri a collocarsi in un
atteggiamento altrettanto intransigenze e assoluto. Andando però, così,
entrambi a ricadere in quel pensiero – o tutto o niente – che ha
caratterizzato in ciascuno di noi una fase della vita: l’età
dell’infanzia. Questo infatti è il pensiero che ci guidava da bambini.
La maturazione degli anni dovrebbe portarci fuori da questa prigione.
Provo con
un’immagine. Dovendo fare una porta per entrare in una stanza, poco
saggio sarebbe, credo, abbattere un’intera parete, pensando così di
avere un accesso più facile e percorribile. Altrettanto limitato
sarebbe, però, temendo che qualcuno possa aprire una porta ed entrare in
stanza, correre ad alzare un muro in cemento armato – sì, armato!
– così che niente e nessuno possa accedervi. Una porta è una porta. Essa
permette di entrare e di uscire. Abbattere la parete o costruire un muro
difensivo non fa né entrare né uscire. Porta solo o a restare fuori, ai
capricci del tempo, o a chiuderci dentro, in una cella che diventa
prigione.
Questo è
integralismo. O tutto o niente. Né confronto né dialogo.
Si dice: ma
se concedi un dito, poi ti prendono un braccio. Allora? Certo, confronto
e dialogo comportano un rischio: possono mettere in discussione certi
nostri pensieri. Pensiamo forse che sia meglio e più salutare restare
chiusi in recinti autoreferenziali e asfittici?
Perché, per
restare ai temi del Congresso, non si può parlare di bellezza del
matrimonio, di salute e dignità della donna, di diritti
dei bambini, di tutela giuridica della vita e della famiglia...
confrontandoci, nel rispetto e nell’ascolto reciproci, dove ciascuno
possa portare le sue ragioni e ascoltare quelle dell’altro? A che serve
sprangare le porte o volerle abbattere con l’ariete?
Ripeto. Se
il cibo integrale fa bene al corpo, gli integralismi
avvelenano l’anima. Non la fanno vivere. Le chiudono il respiro.
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