8 settembre: giornata internazionale
dell’alfabetizzazione
Unesco 1965
Lèggere, per pensare
22 settembre 2019
Essa
lègge, studia, impara
non vi ha cosa ad essa ignota.
Io son sempre
un idïota,
io non so che sospirar
così lamenta Nemorino, nell’Elisir
d’amore, di fronte alla bella Adina di cui è innamorato. Troppo
lontano si sente da lei, bella, ricca e soprattutto istruita.
Non so come
faremo noi italiani, un tempo riconosciuti latin lovers,
considerando che il 60% di noi non prende un libro in mano neppure una
volta l’anno! Surclassati abbondantemente dal resto degli europei per i
quali la media scende subito al 42%. Senza arrivare alla scandalosa
(!) Norvegia: ben nove su dieci di loro considerano la lettura una delle
attività normali cui dedicare del tempo.
Che dite,
sarà per questo che certi nostri ex governanti-urlatori continuano a
indicare l’Europa come la fonte di tutti i nostri malanni? Vuoi vedere
che è colpa dell’Europa se dieci famiglie su cento, in Italia, non hanno
neanche un libro in casa? Anche se in realtà dovrebbero essere
contenti: in fondo chi non lègge non pensa. E per il loro
successo meno gente c’è che prova a pensare, più folla troveranno che si
lascerà infinocchiare dalle loro strampalate analisi e dai loro
sbandierati proclami.
È che di
libri non se ne vedono neanche nelle loro mani. Per avere followers
del resto – come si dice con una parola di cui sembra non si possa più
fare a meno –, cioè seguaci, basta e avanza qualche slogan.
Purché sia ossessivamente ripetuto e, soprattutto, urlato.
Nel
novembre 1965 l’Unesco ha proclamato l’8 settembre giornata
internazionale dell’alfabetizzazione. Problema a dimensione
universale, se pensiamo che il 40% della popolazione mondiale non ha
alcun accesso all’istruzione nella propria lingua. Diceva Nelson
Mandela: “Se parli con un uomo in una lingua che capisce, parli alla sua
testa. Se gli parli nella sua lingua, parli al suo cuore”.
Ma è a casa
nostra che oggi voglio restare. Nella nostra Italia. Perché anche da
noi, come nel resto del mondo, continua a crescere il numero degli
analfabeti funzionali. Di quelle persone che sanno leggere e
scrivere, ma non sono in grado di usare questa capacità per la loro
crescita, professionale e culturale. Ci dicono le statistiche che 1
persona su 6 non comprende il significato di ciò che legge. L’OCSE
(Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), limitando
l’osservazione alla popolazione 16-65 anni, ha evidenziato che la fascia
14-29 anni è quella nella quale è più evidente l’aumento dell’analfabetismo
funzionale.
Due aspetti
guardiamo di questo analfabetismo.
La
scrittura. Oggi tutti scriviamo. Sms, WhatsApp, Facebook, Instagram,
Twitter... sono alla portata di tutti, e tutti vi scriviamo qualcosa. Ma
i nostri scritti sono concisi, poveri e pieni d’errori. Noi adulti.
Studenti. E bambini. Volete un esempio? «Quando 6 triste e annoiato
ke fai? Stai kiuso in kasa davanti al tuo computer e chatti cn gli amici
anke se nn hai niente da dire e invii sms kosì solo per fare qualkosa x
nn sentirti solo». Chiaro, no? Perché scriviamo così? Perché non
leggiamo.
L’uso
indiscriminato dei social per comunicare ogni cosa porta
inevitabilmente ad una lingua sciatta: il parlato da bar diventa il
parlato scritto. E la scrittura, rapida, è povera e non curata.
Scriviamo come parliamo.
Ma c’è un
altro aspetto, ancora più grave a mio parere. Non leggiamo, quindi
non pensiamo.
Ma oggi
tutti leggiamo, mi direte. Stiamo sempre con il telefonino in mano e
leggiamo continuamente. Messaggi, notizie su Google, post su Facebook.
Sì, ma quando ci fermiamo a leggere davvero un pensiero e
a misurarci con questo? Sapremmo ripetere ciò che leggiamo? Provateci.
Sappiamo dire, poi, se lo condividiamo o meno? E, soprattutto, il
perché? Chiedete anche ai vostri ragazzi di ripetere quanto hanno
letto: vedrete che povertà.
L’uso
continuo e indiscriminato di smartphone, tablet e pc ci porta a correre.
Veloci. Da uno stimolo a un altro. Senza concederci la possibilità di
fermare il nostro occhio, leggere un’intera frase, coglierne il
significato. E valutarla. Non ascoltiamo pensieri: leggiamo slogan. E se
questo è già pericoloso per noi adulti, che pure da giovani eravamo in
grado di misurarci con pensieri e idee, diventa un danno irreversibile
per i nostri figli, ragazzi e bambini. Il loro cervello è in crescita –
quest’organo raggiunge la sua maturazione intorno ai vent’anni – e se
l’abituiamo solo a correre da uno stimolo a un altro, il danno diventa
irreversibile. E avremo una generazione di disabili rispetto alla
capacità di riflettere e di formulare idee e pensieri. Facile preda
degli imbonitori di turno.
Se davvero
ci teniamo alla salute (mentale e non solo) dei nostri figli, diamo loro
almeno una regola: tanto tempo passano con tablet o smartphone,
altrettanto ne pàssino con un libro in mano.
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