VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

26 feb 2023

Quaranta giorni per riscoprire la Pasqua

Ri-trovare Dio

Una storia drammatica racconta Platone quando vuole descriverci il limite che la mente umana incontra nel momento in cui si pone il problema della conoscenza. La conoscenza delle realtà profonde. È come fossimo all’interno d’una caverna, lui dice, legati e in grado di guardare soltanto la parete davanti a noi. Fuori, dietro le nostre spalle, c’è il mondo reale. Che noi cogliamo vedendo le ombre in movimento che la luce dall’esterno proietta sulla parete davanti ai nostri occhi. Il pericolo è credere che l’ombra che la mente coglie attraverso la percezione dei sensi sia la realtà nella sua interezza. L’uscita da questa prigione, secondo Platone, è nella filosofia. L’uomo filosofo, amico (fìlòs) della sapienza (sofìa), è colui che con la sua ricerca libera se stesso dalle catene, può uscire dalla caverna, e diventare così guida per chi ne segue il cammino.

Che cosa alimenta la ricerca? La domanda. Ricercare significa muoversi, di domanda in domanda, guidati dalla consapevolezza di non sapere. Cioè di non poter conoscere la realtà nella sua pienezza. Non è questo, del resto, il viaggio che fa la scienza? Ogni scienza. Nel momento in cui perviene ad una scoperta, da questa subito nasce una nuova domanda. È il carburante che alimenta la ricerca. La consapevolezza che la risposta di oggi non è che un frammento nella conoscenza è l’energia che coltiva il sapere.

Ci dice la fisica che se paragoniamo l’intero spettro della luce al fiume Mississippi, lungo 3mila800 km, la porzione visibile all’occhio umano sarebbe di soli 8 cm. Una frequenza enorme, dunque, rimane al di là della nostra capacità percettiva. Questi numeri e l’immagine della caverna di Platone ci dicono la stessa cosa: dobbiamo avere la consapevolezza della parzialità della nostra conoscenza rispetto all’ampiezza della verità.

 

Un ragionamento analogo abbiamo bisogno di coltivare anche nella scienza teologica (da theòs dio e lògos studio). In quella riflessione che la mente ha costruito e continua a costruire nella ricerca di com-prendere Ciò che chiamiamo Dio. Già, perché qui subito ci si pone una domanda: dobbiamo dire Ciò o dire Colui che chiamiamo Dio? Noi, che siamo persone, abbiamo bisogno di rappresentarcelo come persona. Ce lo siamo detto con i miti. Ce lo diciamo ogni volta che ascoltiamo il nostro desiderio che chiede di comprenderlo e di entrarci in relazione.

Può questo nostro bisogno-desiderio essere criterio valido per dire che l’immagine che ci costruiamo corrisponde alla verità di Dio? No. Nel corso della storia, infatti, la sua immagine l’abbiamo arricchita (o impoverita?) con tante rappresentazioni, e inserita dentro cornici fatte di dottrine e tradizioni che, se non le teniamo aperte alla ricerca, rischiano di imprigionarla. Tante religioni ci siamo costruiti. Ciascuna in grado di cogliere qualche aspetto di un Dio che trascende la nostra dimensione. Consapevoli che nessuna immagine poteva esaurirne la pienezza, ne abbiamo costruite tante e molteplici. Dèi e dèe abbiamo pensato. Ciascuno e ciascuna chiamata a rappresentarne qualche aspetto particolare.

 

Restiamo oggi nella cultura-tradizione che più ci appartiene, il cristianesimo. Già la comunità di Giovanni, agli inizi del II secolo, è consapevole di questo limite. Scrive infatti: Dio nessuno l’ha conosciuto. Poi però, ascoltando questo nostro irrinunciabile bisogno, si premura di aggiungere, subito dopo: Il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel cuore del Padre, lui lo ha rivelato.[1] Il figlio, che noi conosciamo con il nome Gesù, è la via per farne esperienza: Io sono la via dirà.

Dio sapeva, meglio, Dio sa che noi umani abbiamo bisogno di rapportarci in una dimensione di umanità. Anche in Lui c’è questo bisogno-desiderio: non sa accettare di restare inconoscibile, estraneo alla sua creatura. E così entra nell’umano: La Parola si è fatta uomo e ha piantato la sua tenda tra noi. Questa la grandezza di Dio: la capacità di cogliere e di accogliere il nostro desiderio e il nostro bisogno. Grandezza che, guidati da Gesù, possiamo chiamare Amore.

In Gesù, uomo tra gli uomini, è Dio stesso che si fa presente. E lo fa nella dimensione di cui noi abbiamo bisogno, quella umana. La sola di cui abbiamo conoscenza ed esperienza. La sola che siamo in grado di cogliere e di vivere. L’originalità e la novità che porta Gesù di Nazareth non è una nuova dottrina né un nuovo pensiero filosofico. La novità è che colloca Dio, e la nostra relazione con Lui, nel quadro affettivo delle relazioni in famiglia. Le prime e più significative per noi umani, così essenziali che senza non potremmo neppure sopravvivere. Lui/Lei padre-e-madre, noi figlie e figli. Tutto qui.

Una buona via per... uscire dalla caverna.

*

Mercoledì noi cristiani siamo entrati nei quaranta giorni (quaresima) che ci avvicinano alla Pasqua: questi pensieri per accompagnarci nel viaggio.

 

[1] Giovanni 1,18; 14,6