VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

14 lug 2024

In parlamento la legge sulla maternità surrogata

L’innominato

Non è quel Selvaggio signore che dall’alto del castellaccio, come l’aquila dal suo nido insanguinato, dominava all’intorno tutto lo spazio dove piede d’uomo potesse posarsi, e non vedeva mai nessuno al di sopra di sé, né più in alto.[1] No, l’innominato di oggi è tutt’altra persona.

Ora, che io non mi ritrovi nella maggioranza che ci governa non è mistero, come pure non lo è che non straveda per il governo che esprime. Non mi ritrovo, tuttavia, neppure tra coloro che qualunque cosa faccia l’avversario è sbagliata. Cerco di osservare, valutare, per prendere poi nel merito, di volta in volta, la mia posizione. È oggi una di queste circostanze.

A breve si ridiscuterà in parlamento il disegno di legge (DDL) sulla Gestazione per altri (GPA) o Maternità surrogata o Utero in affitto. Su quelle situazioni in cui una coppia che non può avere figli chiede ad una donna, dietro compenso, di portare avanti una gravidanza per poi prendere con sé, riconoscendolo come proprio, il figlio che nasce. Ne abbiamo già parlato.[2] Ma ci torniamo perché a breve, avuta l’approvazione in Commissione Giustizia del Senato, arriverà in aula il DDL che intende definire la GPA reato universale. Il testo è lo stesso, senza modifiche, approvato dalla Camera un anno fa. Con l’approvazione del Senato diventerà legge. Ciò significa che un italiano, in qualunque parte del mondo attui questa pratica, commette un reato. Quindi al rientro in Italia verrà perseguito a norma di legge, come se l’avesse fatto dentro i confini del paese. Qui, infatti, la GPA è già vietata (Legge 40/04 Norme in materia di procreazione medicalmente assistita, Art. 12 c. 6).

E ora, di nuovo, ci ritroviamo schierati. Conservatori e progressisti, destra e sinistra, laici e cattolici… e chi più ne ha più ne metta. Al punto che, incastrati tra parte e controparte, rischiamo d’investire più energia nell’attaccarci a vicenda che per entrare nel merito della questione. Nel nocciolo del problema.

 

Ci proviamo. C'è una prima questione, di natura giuridica. Ogni Stato ha il diritto di definire la liceità o meno d’un comportamento all’interno dei propri confini. È questione aperta se sia legittimo che definisca reato universale ciò che reato è nel suo territorio. Un esempio. Se in Iran una donna non porta il velo, commette reato; fino a che punto al suo ritorno può essere perseguita un’iraniana che, venendo in Italia per una vacanza, qui il velo non lo mette? Non essendo un giurista, lascio aperto questo punto, e mi sposto sul piano etico e psicologico, cioè sul piano dei valori che credo debbano essere presi in considerazione quando si tratta di questioni che riguardano la vita.

E qui arriva l’innominato. Due, nel concreto, sono i soggetti coinvolti in prima persona nella maternità surrogata. Una donna e un bambino. La donna, che di fatto viene ridotta ad un utero, per la riproduzione. Al punto che, quando un giorno saremo in grado di far maturare l’ovulo fecondato fino alla formazione completa di un bambino dentro un laboratorio, non ne avremo più bisogno. Ma al momento è ancora ad una donna che s’ha da ricorrere per questa pratica. Attuata (quasi) sempre dietro compenso in denaro. Più o meno consistente, a seconda delle sue condizioni economiche e del paese in cui quest’utero viene noleggiato. Lo so che suona male, ma è così: a lei, di fatto, si chiede solo un utero, per nove mesi. Che sia sfruttamento è difficile negarlo. Ma qui, finalmente, la questione inizia a farsi sentire. Nel senso che il rispetto e i diritti di una donna a non essere ridotta a pura fattrice, ignorando completamente quanto sia coinvolgente una gravidanza, sia sul piano biologico sia sul piano psico affettivo, è tema che stiamo iniziando a considerare con buona consapevolezza. E di diritti della donna si parla sempre un po’ di più…

Ma chi, in tutta la questione, spesso non viene neppure nominato, l’innominato, è il bambino che nasce. Ignorato. Proviamo a farci una domanda: chi ci autorizza a metterlo nella condizione in cui appena nasce deve abbandonare la mamma, colei con cui ha iniziato la sua vita, e andare con altri, mai visti e mai sentiti? Chi gli ha chiesto il permesso? Nessuno. Mai. Noi decidiamo per lui. Come fosse una macchina che esce dalla fabbrica. La prendo. La pago. E la porto a casa.

Perché una coppia che non può avere figli non può prendere la strada dell’adozione? Non sono pochi i bambini nel mondo che hanno bisogno di una famiglia che li accolga. Cos’è, un figlio deve avere il mio marchio di fabbrica? Così verrà meglio? Ma quanto siamo… piccoli piccoli!

 

Concludo con quanto già scrissi un anno fa: all’ONU da tempo è attiva una moratoria internazionale per eliminare la pena di morte in tutti gli Stati. Un movimento analogo dovremmo avviare perché in tutte le nazioni la maternità surrogata sia considerata illegale.

 

[1] A. Manzoni, I promessi sposi, XX

[2] Voce, Donne e bambini, giu ’23