Un nuovo software di intelligenza artificiale (IA) che viene dalla Cina sta creando scompiglio e curiosità nel mondo tecnologico, movimenti di non poco conto in quello finanziario e preoccupazioni nella politica. Un programma in grado di competere con quelli già sperimentati e più conosciuti. DeepSeek è l’azienda produttrice. Il fascino che questo strumento continua ad esercitare rende necessario tenere attiva un’attenzione particolare perché è facile dimenticare, di fronte alle sue strabilianti capacità, che stiamo parlando, sempre e comunque, di una macchina. E tale resterà. Per sempre. Ciò significa che qualunque cosa essa sia, e sarà, capace di fare, la scelta della direzione verso cui può indirizzare le sue potenzialità è nelle nostre mani. Nostra e solo nostra è, e sarà, la responsabilità del suo uso e del suo funzionamento.
Scrive Rita Levi Montalcini: “Tutti dicono che il cervello sia l'organo più complesso del corpo umano, da medico potrei anche acconsentire. Ma come donna vi assicuro che non vi è niente di più complesso del cuore: ancora oggi non si conoscono i suoi meccanismi. Nei ragionamenti del cervello c’è logica, nei ragionamenti del cuore ci sono le emozioni”. E di fronte alla complessità e alla ricchezza di questa combinazione, logica ed emozioni, la macchina su cui gira l’IA, anche la più sofisticata, è di una semplicità disarmante.
Io osservo, e posso decidere cosa osservare. Posso scegliere. E ciò che io osservo, in me lo trasformo. Diventa significato. È questo che poi comunico, consapevole che quanto posso condividere è solo una piccola parte di ciò che abita il cuore. L’amore che provo per una persona è qualcosa di molto profondo, che cerco di ascoltare. Conoscere, comprendere. È la mia ricchezza. E ciò che io provo non è riducibile a un numero, o anche a milioni o miliardi di combinazioni di numeri. L’IA, invece, ha solo numeri, 1 e 0, in combinazioni sempre più ampie e nuove. In una moltiplicazione che tende verso l’infinito. Ma sono sempre e solo numeri. Può apprendere, ampliare le sue conoscenze. Ma è tutto una combinazione di ciò che già esiste. E anche ciò che chiamiamo intelligenza generativa in realtà non genera niente di nuovo: l’eventuale novità, quando di novità si tratti, è solo una nuova combinazione dei dati che le mettiamo a disposizione. Se io dico ti voglio bene esprimo qualcosa che è dentro di me, un sentimento profondo. Anche la macchina sa dire ti voglio bene. Ma quando lo dice non esprime niente, esegue soltanto quella combinazione di tanti 0-1 e 1-0 che le fanno dire queste parole. Le parole sono le stesse. Ma lei non sente. Lei non capisce ciò che dice (e la chiamiamo… intelligenza!).
Un aspetto molto seducente della macchina è che sa darmi risposte. Ad una velocità disarmante. Ma le domande cui sa rispondere rimangono sul piano delle informazioni. Notizie, nozioni, risoluzione di operazioni complesse. Non sa rispondere a domande di significato. Perché queste domande nascono nell’ascolto del dialogo tra la mia mente (la logica) e il mio cuore (le emozioni). Che s’interrogano su quanto la vita mi mette davanti. Quando mi chiedo cosa significa vivere, qual è il senso di ciò che mi succede, cosa può dare significato al mio tempo, alle mie relazioni. Alla mia vita. Domande come queste – che poi sono le domande vere con cui ho bisogno di dialogare – sono una lingua sconosciuta, extraterrestre, extragalattica, per la cosiddetta IA.
Il cervello-organo sa che non può fare a meno del cuore: se questo non pompa il sangue, a lui non arriva l’ossigeno di cui ha bisogno per fare il suo lavoro. E va incontro alla morte. Il cervello-mente rischia spesso di voler agire disconnesso dal cuore. Ogni volta che facciamo un ragionamento senza ascoltare le emozioni che l’accompagnano, è come se lasciassimo la mente nella presunzione di cogliere, da sola, la complessità di ciò che viviamo. Di ciò che siamo. Quante volte diciamo, o ci sentiamo dire, tu ragioni ragioni ragioni, ma sei freddo come una macchina. Guardi ma non vedi. Il mio dolore, la mia gioia, la mia fatica, la disperazione, la speranza. Il mio desiderio. Rischi di non vedere neppure te stesso.
Questo è ciò che fa l’IA. Lei calcola. È una calcolatrice. Infinitamente più potente, di una potenza siderale rispetto a quella che utilizziamo per fare i conti della spesa. Ma pur sempre una calcolatrice. Capace di risolverci problemi enormi, e in tempi rapidissimi. Di rispondere alle domande più complesse e più complicate. Ma in lei non c’è desiderio o dolore o gioia o disperazione o speranza. Niente di… umano.
Perché vuoi svalutare così l’IA? No, non la svaluto affatto. Ne apprezzo le potenzialità, la guardo con curiosità e interesse, immagino che saprà fornirci dati e soluzioni tutt’oggi impensabili. Evidenzio questi aspetti solo per ricordarci, quando ne parliamo con timore, che non è dell’IA che dobbiamo aver paura. È dell’intelligenza umana, quando questa si trasforma in stupidità.