VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

19 gen 2025

Interviste più che possibili

Genius loci

Interviste sviluppate attraverso domande scritte e risposte scritte – non a diretto contatto. Fatte alla distanza giusta per essere definite a freddo, prive di ogni coinvolgimento che non sia quello del confronto delle idee: sulla città, con la città, per la città. La polis, insomma. Piena libertà nel chiedere e piena libertà nel rispondere. Domande misurate sulla persona, sul ruolo, sugli eventi, sull’epoca…

Silvano Sbarbati

 

 

Federico Cardinali, perché un sacerdote svolge anche una attività legata alla professione psicologica?

Due risposte. Entrambe molto personali: se come sacerdote mio compito è portare la Parola di Dio alle donne e agli uomini d’oggi, ho bisogno di sapere chi sono questi, dove stanno con il loro pensiero, quali sono i loro desideri, i loro bisogni. Mi sembra del tutto logico, per incontrarli, cercare di conoscerli un po’ meglio. Così, finiti gli studi di teologia, a 24 anni ho iniziato questo nuovo percorso.

L’altro pensiero. Secondo me non sarebbe male che i sacerdoti vivessero di una professione laica: li aiuterebbe ad ascoltare meglio il mondo cui desiderano portare la Parola.

 

Sono direzioni divergenti o convergenti?

Partono da due punti diversi: la teologia parte dalla dottrina, la psicologia dall’uomo. Ma convergenti, perché entrambe mirano ad incontrare l’essere umano. L’umano e il divino convergono: nel Gesù storico vedo il punto di convergenza. Incarnazione (Dio si fa uomo in Gesù) e divinazione (nel mito della creazione lo Spirito di Dio entra nell’uomo): sono le dimensioni della Vita.
E obiettivo della psicologia è aiutare l’uomo a conoscere e incontrare se stesso. Fin dai tempi antichi. Conosci te stesso era scritto nel tempio di Apollo a Delfi.

 

Mi… “confessa” quali talenti dovrebbe avere oggi un sacerdote, al di là della vocazione?

La capacità e il coraggio d’essere fedele alla persona, prima che alla dottrina. Gesù di Nazareth di fronte ad una religione soffocata da un ammasso di regole (ne avevano costruite seicentotredici: 248 precetti e 365 proibizioni), ha avuto la forza di guardare le donne e gli uomini nella concretezza della vita. “Il sabato è fatto per l’uomo, non l’uomo per il sabato” insegnava. Le dottrine, le regole sono a servizio dell’uomo, per il suo bene: non può l’uomo essere sacrificato alle regole, alle dottrine.

 

E, ugualmente, quali talenti sono necessari nella professione di psicologo?

Gli stessi, direi. Qui non c’è una dottrina, ma le tante scuole di psicologia. Il rischio è di guardare le persone attraverso le diagnosi, che facilmente diventano etichette. Uno psicologo dev’essere attento alla persona che incontra: a questa essere fedele, non alla scuola cui appartiene. Meno ancora all’etichetta (diagnosi) che rischia di frapporsi tra lui e il paziente. Non ci sono depressi o anoressici o bulimici: ognuno di noi è unico.

 

La parola cura credo sia centrale nella sua vita: me la declina in rapporto alla sua personalissima esperienza?

Cura per me significa prendermi cura. Che è diverso da curare. Io non curo nessuno: posso solo prendermi cura di chi incontro.

 

C’è stato un maestro o un magistero in ambito religioso e in quello psicologico?

In ambito religioso molti sono gli incontri. Da ciascuno mi sono arrivati stimoli, sia positivi che meno. Ma entrambi utili. Nella professione posso dire altrettanto. Anche se qui non posso non indicare come un dono della vita aver incontrato Gabriella Guidi, collega amica e sorella, morta due mesi fa. Con lei ho costruito la mia professione, come clinico e come docente. Insieme abbiamo fondato e portato avanti l’Istituto di Terapia Familiare, centro clinico e scuola di specializzazione in psicoterapia e mediazione familiare.

 

Sacerdote e/o psicologo: in quale ambito lei crede ci sia più bisogno di “studium”, ovvero di un atteggiamento permanente di ricerca?

In entrambi. Nella maniera più assoluta. Sia l’uno sia l’altro, sacerdote e psicologo, non possono dimenticare che il mondo è in movimento, in evoluzione. Le verità rivelate (in una religione) o le teorie di riferimento (in psicologia) non hanno senso quando diventano assoluti. Sono semplici astrazioni. Il Dio della Bibbia interagisce con le donne e gli uomini, non insegna dottrine cui bisogna aderire. La ricerca psicologica nasce nell’incontro, non in laboratorio.

 

Mi racconta un episodio del suo vissuto religioso che l’ha segnata in modo particolare, semmai ce ne sia stato uno?

Non so dirle un episodio. Posso dirle che l’incontro della domenica con le persone che partecipano alla Messa lo sento per me Energia di Vita. La pagina del Vangelo che condividiamo diventa luce per la settimana che ho davanti. A queste persone sono molto grato.

 

Da molti anni su “Voce della Vallesina” scrive una rubrica dal titolo “La mente e l’anima”. In sintesi, mi spiega il senso di questo titolo?

Tradizionalmente diciamo: la mente è della psicologia e l’anima della religione. Ho voluto sfruttare questa distinzione, che non ha molto senso, per tenere aperti entrambi i campi. Avrei dovuto aggiungere anche la parola corpo, ma questa la davo per scontata. Mente anima e corpo sono distinzioni che facciamo per avvicinarci alla persona, ma nessuna di queste esiste in sé: sono solo punti d’osservazione diversi dai quali guardiamo noi stessi.

 

E ancora: il titolo della rubrica è accompagnato da “Colloqui con lo psicologo”. Vuol dire che con lo psicologo si parla, si colloquia, non lo si incontra per curare una sofferenza?

La sofferenza spesso è lo stimolo che ti fa cercare lo psicologo. Ma l’obiettivo è quello d’imparare ad incontrare sé stessi. La parola sofferenza esprime il disagio e la difficoltà nell’incontrarsi e nell’ascoltarsi.

 

Che immagine di sintesi userebbe per definire, da sacerdote, la realtà locale per come la vive?

Tradizione. Stanchezza. Che rischia di diventare perdita di speranza. Quando non addirittura indifferenza. Piccoli e preziosi segni di risveglio nella base.

 

E come descriverebbe la stessa realtà indossando gli “occhiali” dello psicologo?

Distanza da noi stessi. Disattenti al desiderio: non ci ascoltiamo. Siamo (quasi) completamente proiettati all’esterno: in questo la tecnologia, grande conquista dei sapiens, diventa nostra complice.

 

Ho avuto sempre la curiosità di capire quale differenza possa avere una seduta di terapia psicologica da una confessione, al di là della ovvia presenza del sacro in quest’ultima.

Non so rispondere in tre righe. La confessione è incontro: con Dio, Padre-e-Madre, e con la comunità dei fratelli, nella consapevolezza dei miei limiti e delle mie mancanze. Una seduta di psicoterapia è parte di un processo di cura verso me stesso con l’aiuto e la guida di un professionista. Qualche anno fa ci scrissi alcuni articoli proprio su questa rubrica.

 

Quale orientamento tra gli altri ha scelto nella sua pratica di psicologo, e perché?

Due orientamenti sono alla base della mia formazione e della clinica. La psicoanalisi e la psicoterapia familiare. Apparentemente lontani, la prima è più attenta all’individuo, al suo mondo interno; l’altra mette in primo piano le relazioni che viviamo, prime fra tutte quelle affettive familiari. Ma quando riescono a dialogare diventano una forza.

 

“La mente e l’anima” ha una cadenza settimanale: come sceglie gli argomenti da trattare?

Due sono le fonti principali. L’attualità e la clinica. Ciò che succede in Italia e nel mondo. E quanto mi portano le persone che incontro nel mio lavoro.

 

Che cosa pensa il Federico Cardinali sacerdote del Federico Cardinali psicologo?

Che l’uno non può fare a meno dell’altro. Li lega un profondo e reciproco sentimento di gratitudine. Non sono due, ma uno solo. Vangelo e psicologia, quando dialogano, s’illuminano a vicenda.

 

L’essere sacerdote le ha creato problemi tra i colleghi psicologi e viceversa? E semmai di che tipo e come vi fa fronte?

Sì. Ma era scontato: nel mondo della psicologia, chi non mi conosce personalmente parte spesso con un pregiudizio: lui è un prete! Stesso pregiudizio, uguale e contrario, tra i sacerdoti: lui fa più lo psicologo che il prete. Per gli uni e per gli altri è come se la mia appartenenza non fosse totale: e se non appartieni completamente, non sei… gestibile. Controllabile.

 

Che tipo di fatica è quella del suo lavoro di psicologo?

Tutto il giorno sei a contatto con la sofferenza. Non vengono da te per condividere momenti di serenità. E all’inizio s’aspettano che sia tu a risolvere i loro problemi. La fatica più grande è aiutare le persone a uscire dal desiderio d’essere guariti ed entrare nel pensiero di voler guarire. Finché vuoi essere guarito ti poni come un oggetto su cui qualcun altro deve intervenire, sei in un atteggiamento di passività; quando cominci a dirti che vuoi guarire scopri che sei un soggetto, e inizi a lavorare con te. Io posso essere d’aiuto solo a chi ci mette la sua parte.

 

Che tipo di relazione esiste nel mondo religioso e nel mondo della psicologia tra pari e nei confronti delle “autorità”?

Due mondi diversi. Ma non così lontani. La fatica che li accomuna è la difficoltà ad essere aperti all’ascolto dell’altro: troppo spesso teniamo in tasca la presunzione di possedere la verità. In entrambi i mondi. Nel mondo religioso poi in duemila anni s’è strutturata tutta una storia particolare di gerarchia che oggi ha bisogno d’essere riletta, rivista. Purificata. Meno presente la gerarchia nel mondo della psicologia. Consideri che in Italia io sono tra i primi laureati in psicologia: il corso di laurea è iniziato solo nel 1971. E l’Ordine professionale è nato appena 35 anni fa.

 

La provincia e il provincialismo contano nella realtà quotidiana degli ambiti in cui opera?

Non è poi così determinante. Nei primi tempi dell’università ero in una parrocchia a Roma. E oggi sono in contatto con tanti colleghi, italiani e stranieri. Alla fine… tutto il mondo è paese.

 

Come sacerdote ha rapporto con i testi sacri. Ne esistono anche nel lavoro di psicologo?

Testi di riferimento senz’altro. Da una parte i classici, Freud, Jung e i loro principali discepoli. Accanto, però, è necessario incontrare anche discipline diverse: cito solo la teoria dei sistemi o la fisica quantistica, strumenti senza i quali diventa difficile comprendere il mondo in cui viviamo.

 

Esiste un genius loci di Jesi?

Se mi chiede un nome, non so rispondere. Salvo il nostro Pergolesi: in soli 26 anni di vita ha scritto musiche meravigliose. Ma il vero genius loci credo sia la natura, l’ambiente, le nostre colline, gli alberi. L’Esino. Basta fare un giro verso Tabano o nelle campagne di Santa Lucia, a Ripa Bianca o a Colle Paradiso. Di tutto questo, però, dovremmo prenderci più cura. Ci farebbe bene: alla mente e all’anima. E al corpo.