6 apr 2025
La capacità di pensare è a serio rischio nel turbinio di informazioni
Nella mente degli uomini
L’overdose di notizie e di informazioni in cui siamo immersi, pur costituendo una ricchezza rispetto alla scarsità che sperimentavano le generazioni precedenti, rischia di farci perdere l’orientamento. Incapaci, quasi, di decidere dove girare lo sguardo e a quali voci prestare attenzione. Il nuovo stile cui il mondo della politica tenta di abituarci, poi, ci fa perdere ogni fiducia in ciò che vediamo o ascoltiamo. Quanto due giorni fa era certezza, oggi non è più valido. Figuriamoci domani. Il neopresidente Trump eccelle su tutti; pure i nostri non sono male. E c’è un altro pericolo, poi, sotto questo turbine d’informazioni. Occupati a correr loro dietro nel tentativo, vano, di non perderne nessuna, non riusciamo più a fermarci e riflettere: travolto dai tanti dati che gli arrivano, il cervello non sa più come respirare. E ritrovare la capacità di pensare. Corriamo. Affannati. Lasciando così nelle mani di altri valutazioni e decisioni. Anche quelle che coinvolgono la nostra vita.
Un uomo che non si interessa allo Stato, diceva Pericle ai suoi concittadini, noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benché in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla.[1] Era il 431 a.C. Erano in guerra. Tempi difficili allora, quasi trent’anni di conflitto armato tra Sparta e Atene. Tempi difficili oggi, oltre cinquanta focolai di guerra accesi nel mondo, e scarse prospettive di pace. Con i cosiddetti grandi, Trump Putin e Xi, che giocano a fare gli imperatori; i governi dell’Unione Europea in scomposta agitazione; il nostro Parlamento declassato a ritrovo da osteria, con atteggiamenti e linguaggio… all’altezza. E noi?
Sono ridondante con questa domanda. Lo so. Ma non posso farne a meno. Intanto per rispetto a me stesso: non innocuo, meno ancora inutile vorrei sentirmi in questo mondo. E per rispetto a voi che accettate, di settimana in settimana, di confrontarvi con me su questa pagina. Pochi ad Atene erano in grado di dare vita ad una politica. Ma tutti erano in grado di giudicarla. Non sarebbe bello che anche noi, oggi, recuperassimo quella capacità e quel coraggio che si riconoscevano uomini e donne di ventiquattro secoli fa? Nelle ultime elezioni politiche 16 milioni e ½ di italiani non sono andati a votare: il 37%, più di uno su tre, s’è defilato. Non innocui, direbbe Pericle, ma inutili nella società.
Cosa fare? Come uscirne? Intanto smettiamola di nasconderci dietro il facile io non ci capisco niente. Perché tutti possiamo capirci. Smettiamola anche di bere tutto quanto ci somministrano i nostri politici, più preoccupati di come comunicare che di saper governare. Smettiamola anche di restituire ai capi, dell’una o dell’altra parte, sorrisini di compiacimento di fronte alle loro battutine, che altro non sono che inconsapevoli dichiarazioni di sudditanza all’imperatore di turno. Spiaccicati ai suoi piedi, perfetti zerbini, convinti di potersi cibare delle briciole che cadranno dalla mensa del padrone. Dov’è la mia dignità? Dove la mia capacità di pensiero autonomo?
Su tre cose si regge il mondo: verità, giustizia, pace. Tutte e tre indispensabili. Se manca uno di questi ingredienti, gli altri due crollano. Sapienza antica la Mishnàh (parola ebraica che significa apprendimentoattraverso la ripetizione). È una grande raccolta di pensieri e riflessioni nati intorno alla lettura e allo studio della Toràh (i primi cinque libri della Bibbia). Attenzione, non è questione di religione, o di fede. È questione di saggezza. Umana saggezza.
Guardiamole queste parole.
Verità. I greci dicevano alètheia (a senza e lanthàno velare): significa dis-velare, togliere il velo alle cose, alle relazioni, agli uomini. L’antica lingua ebraica dice emèth. È una parola formata da tre lettere dell’alfabeto: sono la prima (āleph), quella centrale (mêm) e l’ultima (tāw). Per indicare che la verità comprende il tutto. Niente c’è oltre la verità.
E la giustizia? Per i greci Dìke (giustizia) è una dea. Figlia di Zeus, sorella di Eunomìa (buona legge) e di Eirène (pace). E la parola dikaiosỳne che ne deriva significa virtù. In ebraico giustizia è tzedeqàh. Il giusto (dìkaios in greco e tzadìq in ebraico) è colui che con il suo modo di vivere contribuisce al buon andamento della società. La giustizia è immortale scrivevano oltre duemila anni fa.[2]
Pace. Oppenheimer, direttore del progetto Manhattan, dopo l’esplosione dell’atomica dice: Ora sono diventato morte, il distruttore dei mondi. Scrive Erodoto: In pace i figli seppelliscono i padri, mentre in guerra sono i padri a seppellire i figli.[3]
Nello Statuto dell’Unesco (Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura) è scritto: Nella mente degli uomini cominciano le guerre; e nella mente degli uomini devono essere erette le difese della pace.
Nella mente degli uomini…
[1] Tucidide, Storie
[2] Sapienza 1,15
[3] Erodoto, Storie I