VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

13 apr 2025

Tratta i tuoi pazienti come vorresti essere trattato tu

Questo corpo è una persona

Sembrava che si fossero messi d’accordo Anna e Carlo. In realtà neppure si conoscono.

Tanta attenzione della stampa, in questo periodo, alla grave inefficienza del Servizio Sanitario Nazionale. Non su competenza o incompetenza dei sanitari, quanto invece sul fatto che per avere un appuntamento o affrontare un esame diagnostico senza dover ricorrere alla medicina privata, fai in tempo a… morire e rinascere. È un’esperienza che (quasi) tutti facciamo o abbiamo già fatto. Per una risonanza o una tac, quando pure riesci a metterti in contatto con il CUP (centro unico prenotazioni), perché anche questa è una bell’impresa, dieci dodici mesi sono nella normalità dei tempi d’attesa. Altrettanto se chiedi una visita specialistica. Salvo, ovviamente, avere tutto dopo due giorni, se decidi di pagare di tasca tua. E di fronte a ciò i nostri governanti tanto sono ghepardi nel darti ragione, quanto bradipi nel decidere quando e come affrontare il problema.

 

Ma torniamo ad Anna e Carlo (i nomi sono di fantasia; i fatti no). Arrivano da me nell’arco d’una decina di giorni. Lei giovane quarantenne, lui sulla settantina. Entrambi, arrabbiati, portano tutto il disagio vissuto in alcune visite mediche. Ginecologia e urologia i reparti coinvolti. Sembrava si fossero messi d’accordo, dicevo, tanto è simile il racconto che mi fanno.

Anna è già posizionata sulla poltrona per la visita da parte del medico. E sta lì, tutta scoperta. Qualche minuto. Arriva il medico. E con lui una truppa. Una decina di persone. Studenti specializzandi, lei suppone. E tutti lì, davanti. Guardano, chiacchierano, scherzano anche tra loro. Uno racconta la cena della sera prima. Risatine. Intanto lei è lì. E aspetta che il medico inizi la visita. È lì per questo, si dice. E aspetta. Un lenzuolino per coprirla in attesa che la visita inizi… è forse chiedere troppo? Dai, stai a guardare queste cose! Il medico finalmente siede, si aggiusta, inizia la visita, e dà bella mostra di sé e del suo sapere alla schiera di giovani colleghi alle sue spalle. Sempre con Anna lì, davanti. Ai loro occhi Anna è un corpo. Un puro e semplice corpo. Messo lì. Esposto. In bella vista. Voi lo chiamereste rispetto? Io no. Ma andiamo avanti.

Carlo. Vi dicevo che sembravano essersi messi d’accordo. Stessa storia. Anche lui dopo essersi spogliato è invitato a salire sulla poltrona per la visita. Gambe sollevate, piedi e polpacci sugli appoggi, completamente aperto e scoperto. Il medico sta seduto alla scrivania, legge la cartella che lui gli ha portato. Intanto nella stanza entrano ed escono infermieri, infermiere. Si fermano un po’, guardano, poi se ne vanno. Ne arrivano altri. Altre. Come al bar, entri, prendi un caffè, scambi una parola con chi conosci. E te ne vai. Così lì, chiacchierano, scherzano, e naturalmente non mancano di dare uno sguardo al povero Carlo. Sempre lì, in attesa, nudo. In esposizione. Un lenzuolino per coprirlo in attesa che lo specialista inizi la visita non l’hanno inventato neppure lì. Chi sa, forse… costa troppo. Sai, con la crisi della sanità. Ah, dimenticavo, la porta dello studio dove Carlo si trova per la visita è sempre aperta, e di là, nel corridoio, passano. Personale sanitario, certo, addetti ai lavori, sì. Ma…

 

Due storie in fotocopia. Ricordo che un paio d’anni fa una giovane donna mi diceva il grande disagio che aveva provato per la vicina di letto, una donna sulla settantina, molto debilitata mentalmente. L’hanno lasciata lì, sul letto, completamente svestita, scoperta. Al punto che decide lei di alzarsi e andare a coprirla. Lei, pur dolorante per l’intervento appena subito. È troppo forte il disagio che sente per quella povera donna, vecchia, per la quale vergogna pudore disagio non sembrano più alla sua portata, tanto è debole ora la sua mente.

 

Una domanda. Anna e le mille Anne che si sottopongono a una visita medica, Carlo e i mille Carli, sono semplici corpi, parti di corpi, che devono essere visitati e curati… o sono persone? Con un’identità, una dignità, un senso del pudore. Mille fogli sulla privacy ci fanno firmare. E la privacy, quella personale, dov’è? Tutti abbiamo letto, o sentito, di medici o altri operatori sanitari che scoprono il disagio dei pazienti quando pazienti lo diventano loro stessi. Allora conoscono tutta la sofferenza e il malessere nel vedersi considerati solo un corpo, giovane o vecchio che sia, da manovrare e maneggiare. In totale dimenticanza che in questo corpo c’è una persona. Che questo corpo è una persona.

Dove imparare tutto ciò? Corsi obbligatori di… educazione al rispetto? Perché no. Magari sono un’occasione per pensare. Ma io credo che tutti noi che lavoriamo nella sanità, qualunque sia l’area di specializzazione, dobbiamo impiantare una targa nella nostra mente con su scritto: tratta i tuoi pazienti come vorresti essere trattato tu se fossi al loro posto.