Un pugno nello stomaco. Così mi sono arrivate queste parole la sera in cui seguivo l’inaugurazione della Stagione alla Scala. E sì che la conoscevo bene l’opera di Verdi. Impossibile non restare coinvolti dalla storia d’un amore tanto forte quanto impossibile tra Eleonora e Don Alvaro. Ma nonostante questo, quelle parole sono arrivate così. Violente. Assurde.
Al suon del tamburo,
al brio del corsiero,
al nugolo azzurro
del bronzo guerrier;
dei campi al sussurro
s'esalta il pensier!
È bella la guerra!
Evviva la guerra!
Così canta Preziosilla, la gitana de La forza del Destino. Siam felici ch’è la guerra / gioia e vita al militar. Seguirà il coro dei soldati. E morte al nemico! diventa il mantra che unisce tutti.[1] La guerra. La cosa più assurda. E la cosa più costante. Da quando ne conosciamo la storia, l’uomo uccide suo fratello. La prima volta che la morte entra tra gli umani è con un fratricidio ci dicono i miti che fondano la nostra cultura. Caino e Abele. E dire che di acqua n’è passata sotto il ponte, ma questo gene permane, immutato, nel DNA dei sapiens.
Siamo ormai in viaggio nel 2025, il 1° gennaio è passato. Ma è troppo importante questa data: da cinquantotto anni il primo giorno dell’anno è la Giornata mondiale della pace. Una parola che invochiamo, che cerchiamo. Pur consapevoli che nessuno può regalarcela, continuiamo tuttavia a non prendere sul serio la necessità di lavorare per costruirla. Ogni anno il papa offre un tema-guida per questa giornata. Rimetti a noi i nostri debiti. Le parole di quest’anno.
Rimetti a noi i nostri debiti. Ma chi sono i nostri creditori?
I bambini. I nostri, quelli che riempiamo di cose, oggetti, regali piuttosto che condividerci un po’ del nostro tempo. Pacchi e pacchetti sotto l’albero a Natale, occhi spalancati e curiosi, velocissimi a scartare per vedere cosa c’è dentro. Poi, il giorno dopo, la noia. I nostri bambini cui permettiamo un capriccio dietro l’altro anche solo per decidere cosa mangiare. Dimenticando, noi per primi, i tanti per cui mangiare o bere sono ormai parole andate dal vocabolario. A Gaza, in Ucraina e in altre più di cinquanta località, in un mondo invaso dalla guerra. Bambini rubati dai soldati di Putin, sottratti a forza o con l’inganno ai genitori, e deportati nella grande (!?) Russia. Bambini costretti a crescere, quando pure ci riescono perché la morte decide di risparmiarli, con il cuore inquinato dal rancore e dall’odio verso il nemico. Destinati a un domani da terroristi. Bambini che vedono il mare per la prima volta da dentro un barchino, e subito costretti a dimenticarlo, perché la morte arriva prima di una riva dove scendere. Bambini, figli di immigrati, che non vogliamo tra noi, perché la loro presenza in classe rallenta l’istruzione dei nostri figli… nella scuola del merito.
Le donne. Tutte le Gisèle Pelicot, umiliate violentate svendute dagli uomini che dicevano di amarle. Insieme alle madri mogli e sorelle cui, tirandoci sdegnosamente fuori, continuiamo a delegare la cura. Della casa, dei figli, dei genitori vecchi, dei mariti, dei compagni. Convinti, noi maschi, che in fondo sono una nostra proprietà. E di ciò che mi appartiene posso fare l’uso che voglio. Convinti, ancor più, che io non sono come gli altri. Chi agisce così sono uomini malati, da rinchiudere, in galera o in manicomio, e buttare la chiave.
Donne uomini bambini vittime dei viaggi della speranza (2200 morti nel 2024, tra cui 112 bambini, nel mare nostrum). E vittime delle guerre. Pronti noi, con le nostre fragili democrazie, a fornire le armi, ma incapaci di un impegno reale per fermare la violenza. Dimentichi, noi per primi, che la guerra, ogni guerra, non stabilisce chi ha ragione, ma solo chi sopravvive.[2]
Ottocento milioni di persone che nel mondo soffrono la fame. Uno su dieci non ha il necessario per vivere, e noi non solo ci teniamo gelosamente tutto il benessere di cui godiamo, ma continuiamo a vivere nel superfluo e nello spreco.
Bambini, ragazzi, giovani cui stiamo rubando il futuro. Incuranti della salute del pianeta, continuiamo a sfruttarlo oltre misura. Pur sapendo, incapaci di vedere oltre il nostro naso, che a loro, ai nostri figli, lasceremo una casa inquinata e inabitabile.
Pace, mio Dio! canta Eleonora, in ritiro ormai nel suo santo speco. Con lei, e con la comunità cui si rivolge per trovare un luogo in cui incontrare la pace, possiamo condividere una preghiera, accompagnati dalla sublime musica di Verdi,
La Vergine degli Angeli
ci copra del suo manto
e noi protegga vigile
di Dio l’Angelo santo.
Nel discorso di fine anno un piccolo Putin fa il grande perché ha un nuovo super missile… All’uomo di pace appartiene il futuro scriveva, oltre venti secoli fa, un uomo o una donna, amante della Vita.[3]
[1] Piave, Verdi, La forza del destino
[2] Bertrand Russel
[3] Salmi 37,37