26 ott 2008
Il corpo, la mente, l’anima
L’anima: filosofie e religioni (3)
Oggi concludiamo un primo giro del nostro viaggio intorno all’uomo. Abbiamo incontrato, man mano, una dimensione di noi stessi: il corpo, la mente, l’anima.
E a proposito dell’ANIMA, che ci parla della nostra dimensione spirituale, era rimasta aperta una domanda: quale scienza? Abbiamo parlato di medicina per conoscere il corpo (la dimensione biologica), di psicologia per incontrare la mente (la dimensione psicologica). E per l’anima (la dimensione spirituale)?
Ci dicevamo che qui ci vengono in aiuto la filosofia e la religione, meglio, le filosofie e le religioni.
Queste sono sistemi di pensiero che le diverse culture hanno elaborato nel tempo. Il rischio che oggi possiamo correre, noi uomini del duemila, è quello di guardare a queste scienze con sospetto o con senso di superiorità, come se fossero, in fondo, del tutto inutili, quando non addirittura pericolose. Inutili, perché in fondo non ci risolvono le difficoltà della vita quotidiana: non ci indicano soluzioni al problema della disoccupazione né ci forniscono ricette per uscire dalla crisi economica... Pericolose, perché a volte si presentano come rigidamente normative, nelle regole che indicano, o assolute nei loro contenuti o insegnamenti, quasi che l’una o l’altra possedessero tutta la verità di questo mondo.
Perché allora coltivarle? Cosa ci danno in realtà?
La filosofia esprime la capacità dell’uomo di riflettere su sé stesso: se ci giochiamo questa possibilità, non rischiamo di lasciarci soffocare dalla concretezza del quotidiano e di perderci di fronte alla complessità della vita e dei quesiti che essa ci pone?
La religione. Quante volte ci viene presentata, o noi stessi la viviamo, come un insieme di regole, di norme, di tradizioni, di obblighi da adempiere o divieti da rispettare! E’ vero, le religioni corrono spesso il rischio di volersi proporre come ‘portavoce di tutta l’umanità’ quando vogliono imporre la propria visione dell’uomo e della vita come l’unica visione possibile e vera.
Quando poi pretendono un’adesione acritica ai loro dogmi, le religioni possono addirittura soffocare la fede. Perché essere credente significa, fondamentalmente, intravvedere la possibilità di ampliare lo sguardo sulla vita e sul mondo: provare a non sentirci ‘soli’ nel viaggio della vita. Poterci ritrovare come parte di un progetto più ampio di noi e in relazione con Qualcuno che ci guarda e ci pensa in una relazione d’amore. Ma significa, nello stesso tempo, anche saperci collocare in un atteggiamento di ricerca perenne, accompagnati da interrogativi che rimangono aperti, che non danno una risposta certa al nostro cuore. Che lasciano aperto il dubbio. Significa provare a vedere il quadro della vita delinearsi man mano che lo viviamo, guidati dalla speranza, nella continua ricerca del senso.
Un atteggiamento mentale aperto, secondo me, dovrebbe portarci a sviluppare la capacità di guardare con rispetto a tutte le filosofie e a tutte le religioni: non perché sono tutte uguali, ma perché da ciascuna possiamo ‘apprendere’ qualcosa. Ogni religione, ogni filosofia di vita indica un sentiero e rappresenta un passo verso la conoscenza della verità.
E proprio ascoltando questo bisogno dell’anima, di avvicinarci alla conoscenza della verità, come un bisogno che ci appartiene e al quale non possiamo non rispondere, oggi, per salutarci, facciamo un salto indietro nel tempo. Duemilatrecento anni fa, un uomo saggio di allora, Epicuro, scriveva: “Nessuno mentre è giovane tardi a riflettere e a farsi domande sulla vita, né mentre è vecchio si stanchi di farlo. E chi dice che non è venuta l’età della riflessione o che è già passata, è come se dicesse che non è ancora giunta l’ora di essere felici, o che è già passata”.
Mi rendo conto che facciamo non poca fatica, oggi, nel seguire questi ragionamenti. Il problema, secondo me, è che noi uomini ‘moderni’ (dicono gli studiosi: ‘post-moderni’!) rischiamo davvero di perdere la capacità di riflettere sulle cose e su come stiamo vivendo. Rischiamo, cioè, di sopravvivere piuttosto che di vivere.
La televisione, internet, i telefonini che ci seguono dovunque - perfino in bagno o nel letto - catturano così tanto la nostra attenzione e il nostro tempo che perdiamo la capacità di ragionare con la nostra testa. Certo, questo fa il gioco di certa classe politica, ma mettere il cervello all’ammasso non è molto nobile per l’animale-uomo che si definisce essere ragionevole. Non ci spaventiamo, però: questo rischio lo abbiamo sempre corso e siamo riusciti a venirne fuori, anche se qualche volta più malconci. In fondo, avete visto, anche ai tempi di Epicuro - duemilatrecento anni fa non avevano internet né la tv né i supertelefonini… né la nostra classe dirigente (!) - eppure sembra che anche allora gli uomini stessero correndo il rischio di perdersi, se sentiva il bisogno di richiamarli alla necessità di pensare e di riflettere con la loro testa… giovani e vecchi!
Pensare e riflettere con la propria testa - come ci dicevamo due settimane fa - significa tenere sempre aperta la nostra ricerca sul senso della vita. E’ questa l’unica condizione che ci permette di ridare le ali al nostro pensiero per riscoprire la sua capacità di volare. Tra la terra e il cielo.