VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

2 nov 2008

Morire e nascere: uno stesso cammino?

C’erano una volta… due fratellini nella pancia della mamma.

Dice Giulia: “So che per te sarà difficile da accettare, ma credo veramente che ci sia una vita dopo la nascita”, Leonardo: “Non essere ridicola! Guardati attorno: esiste quello che vedi. Perché devi sempre pensare a qualcosa che sta oltre? Nella vita devi accettare la realtà: mettiti comoda e dimentica tutte queste sciocchezze sulla vita dopo la nascita!”.

Giulia tace per un po’. Poi: “Leo, non arrabbiarti, ma ho qualcos’altro da dire. Io credo anche che esista una madre”, “Una madre? Ma come fai ad essere tanto assurda? Hai mai visto una madre? Tu sei qui, sola, con me. Questa è la realtà. Adesso prendi quel cordone, va’ nel tuo angolo e smettila di essere così stupida. Ah, queste donne! Credimi, non c’è nessuna madre”.

“Leo!”, “Che c’è ancora?”, “Per favore, ascolta! Quelle pressioni che avvertiamo, quei movimenti che ci fanno stare anche scomodi a volte, quella sensazione di stare sempre più stretti via via che cresciamo… ci preparano per entrare in un posto di luce splendente! E ci andremo presto”, “Adesso capisco: sei veramente pazza! Hai mai visto la luce? Come può venirti una simile idea? I movimenti, le pressioni che senti sono la tua realtà: questo è il tuo viaggio. Oscurità e pressioni fanno parte della vita. E finché vivrai dovrai combattere. Ora prendi il tuo cordone e sta’ tranquilla. Per favore!”.

Giulia si ferma. Pensa. Gioca un po’ con il suo cordone. Poi, però, non resiste: ”Leo!”, “Ancora! Che c’è?”, “Solo una cosa, poi non ti romperò più! Io credo che tutte queste pressioni e scomodità non solo ci condurranno verso la luce, ma quando saremo nella luce incontreremo anche la mamma, ci guarderemo negli occhi, faccia a faccia, e la conosceremo, finalmente! E sarà un’estasi che supera qualsiasi cosa abbiamo sperimentato fino ad ora…”, “Hai perso proprio la testa! Ora ne sono convinto. Che tristezza, Giulia, che non vuoi accettare la realtà”…

Un giorno i due fratellini, ormai cresciuti, hanno completato il loro viaggio e non possono più restare in un mondo così angusto. Arriva, così, il giorno della nascita. Giulia e Leonardo si agitano, sono preoccupati per ciò che sta succedendo: una cosa sconosciuta. C’è una forza che li spinge ad uscire. Partono. Che fatica, però, fare tutta quella strada… Ma alla fine del viaggio, finalmente, la luce illumina i loro occhi e la mamma li accoglie e li prende fra le sue braccia. Una nuova vita e una vera estasi!

 

Questi giorni il calendario ci porta a fare spostamenti e viaggi nuovi, diversi da quelli che ogni giorno il lavoro ci richiede. E un turbinio di sentimenti li accompagna. La meta: un cimitero. O tanti cimiteri. Questi viaggi, accompagnati dal piacere di ritrovarci con altre persone care che, magari, non vediamo da tempo, e dal dolore di ritrovarci con chi ‘riposa’ nel camposanto, sono un’occasione preziosa che il calendario ci offre. Come spenderla?

Cimitero significa il luogo dove si riposa (in greco koimetèrion = dormitorio). Noi lo chiamiamo anche campo-santo: il campo, la terra dove abitano i santi. Che sono i nostri parenti, i nostri amici, le persone con cui abbiamo condiviso una parte dei nostri anni e che ora hanno lasciato questa dimensione della vita per entrare in un’altra che per noi, credenti e non credenti, rimane comunque misteriosa e sconosciuta. Proprio come sconosciuta è per Giulia e Leonardo, ancora nella pancia della mamma, la vita che li aspetta dopo la nascita.

 

Proviamo per un momento a restare in questo pensiero: noi ora, immersi in questa dimensione della vita, siamo come questi due bambini chiusi nell’utero della loro madre. Noi non ce lo ricordiamo, cioè non ne abbiamo un ricordo cosciente, ma il nostro corpo e la nostra mente non hanno dimenticato che anche per un bambino è faticoso nascere. Come per una donna partorire.

Anche morire, come nascere, comporta una fatica. L’abbiamo chiamata ‘agonia’, che significa proprio ‘lotta’, combattimento, quindi fatica. Nascere e morire: un passaggio faticoso.

La storia di Giulia e Leonardo possiamo pensarla come una metafora, come un’immagine della nostra vita, ora, qui, su questa terra? Ci stiamo bene, ma a volte - o spesso - ci stiamo proprio stretti. Le fatiche e le prove della vita ci rendono tante volte angusto il tempo che viviamo. Anche questo, però, è un tempo di crescita. Proprio come sono un tempo di crescita per il bambino quei nove mesi che passa dentro il corpo della madre: così è stato per ciascuno di noi.

In fondo, se ci pensiamo bene, i pensieri di questi due bambini sono un po’ i nostri pensieri quando parliamo tra noi della vita e della morte, della vita che stiamo vivendo ora e di quella che ci aspetta dopo aver attraversato il tempo della morte. Giulia e Leonardo sono la voce del nostro cuore, con i suoi interrogativi, le sue angosce e le sue speranze.

 

Chi sa. Forse… come la fatica della nascita ci ha portati poi a conoscere la luce e ad incontrare la mamma, possiamo pensare che la fatica della morte ci porterà a conoscere un’altra luce e ad incontrare un’altra mamma? L’altra luce è quello che chiamiamo l’altro mondo (“è andato all’altro mondo” diciamo di una persona che è morta). E l’altra mamma? Non può essere questa un’immagine che ci avvicina al Buon Dio che ci accoglie fra le sue braccia?

Cantava Fabrizio De André: “… venite in paradiso, là dove sono anch’io, perché non c’è l’inferno nel mondo del Buon Dio”. Nella Bibbia è scritto: “Ora la nostra visione è confusa… ma un giorno saremo faccia a faccia con Lui” (1a Corinzi 13,12); in un’altra pagina: “Dice il Signore: Avrò cura di voi come una madre che allatta il figlio, lo porta in braccio e lo fa giocare sulle proprie ginocchia” (Isaia 66,12). E in fine “Dio asciugherà ogni lacrima dai nostri occhi. La morte non ci sarà più. Non ci sarà più né lutto né pianto né dolore” (Apocalisse 21,4).

 

Quando questi giorni saremo in uno dei nostri cimiteri, proviamo a stare lì due minuti in silenzio. Subito ci accorgeremo di tanta gente che chiacchiera, chiacchiera, chiacchiera… Tanta confusione e tanto rumore. Perché? A che servono? Certo, è segno di civiltà e di buona educazione salutare le persone che incontriamo, ma possiamo farlo anche sottovoce, o solo con un gesto, poi rivederci fuori con tutto il tempo per una bella chiacchierata!

Non sarà che le chiacchiere ci servono per non sentire la paura di incontrare il pensiero della morte? Se visitare un camposanto è entrare nel ‘luogo dove riposano i nostri santi’, perché disturbare il loro riposo con il nostro rumore? Se provassimo, invece, ad ascoltarli… Ma per ascoltarli dobbiamo trovare un po’ di silenzio, perché la loro voce è sommessa e la loro parola chiede di arrivare alla nostra anima. Sentiremo allora che la loro parola, se proviamo ad ascoltarla, ci parlerà di vita. Della loro vita. E della nostra.