15 mar 2009
Giornata di riflessione sulla condizione femminile
C'era una volta... l'8 marzo
Cento anni fa, anzi, per la precisione centouno, è nato l’8 marzo. E’ venuto al mondo come un giorno di lutto, di grande lutto: 129 donne sono morte perché, avendo osato protestare per le condizioni di lavoro cui erano sottoposte, erano state chiuse dentro la fabbrica in cui lavoravano. E’ scoppiato un incendio e loro, chiuse dentro, non sono potute uscire. Era l’8 marzo 1908.
8 marzo, la festa della donna?
Così diciamo. Così è scritto nei manifesti che abbiamo visto pubblicizzare i locali in cui le donne erano invitate a passare la serata. Ah, li avete visti questi cartelloni? Se vi fossero sfuggiti, non preoccupatevi: cercate con lo sguardo un bel manifesto, di quelli grandi, tipo campagna elettorale, dove c’è un uomo mezzo nudo con delle donne ai suoi piedi. E’ questa la nuova immagine dell’8 marzo, la festa della donna.
Parliamo di ‘emancipazione della donna’: più emancipate di così! La pubblicità ce lo garantisce. Le donne si devono spogliare, si sa, altrimenti come si fa a vendere un paio di scarpe se queste non sono attaccate ad un bel paio di gambe, naturalmente nude? Come si fa a vendere abiti giovanili se non si mette una ragazza in minigonna con un poliziotto che la perquisisce, naturalmente con le mani sul sedere? (A proposito, le avete viste queste pubblicità? Sì, spero!)
Mettere una donna mezza nuda su un cartellone pubblicitario significa ridurre la donna a oggetto, si dice. Ma ora le donne sono emancipate. Quindi? Quindi è molto semplice. Vogliamo la parità? Mettiamoci anche gli uomini, mezzi nudi, anzi, più nudi che si può. Più pari di così? E quale occasione migliore, anzi, quale modo migliore per invitare le donne alla festa delle donne che mettere sul manifesto che ne pubblicizza le iniziative, un bell’uomo, certo nudo, altrimenti… che parità sarebbe? Però, attenzione: l’uomo nudo sì, ma anche con le donne ai suoi piedi!
Che tristezza, donne e uomini del duemila!
Tristezza, non perché non sia bello vedere una bella donna o un bell’uomo. Credo che non c’è bellezza che colpisce di più i nostri occhi di quella di un bel corpo. La natura si serve anche di questi ‘trucchi’ per garantirsi la sopravvivenza della nostra specie.
Tristezza, perché oltre l’apparenza c’è solo il vuoto. Sotto il vestito niente era il titolo di un film di qualche anno fa. Oltre il corpo niente potrebbe essere il titolo della cultura che respira la maggioranza nel nostro secolo, il secolo della modernità o, come dicono gli studiosi, della postmodernità.
Ma, per fortuna, non c’era solo questo per l’8 marzo! Chi umilia una donna non è un uomo è scritto nel manifesto della Regione Marche. Si potrebbe aggiungere, per aiutare a comprendere meglio: chi umilia una donna non è un uomo, perché umilia anche sé stesso. Perché chi non sa rispettare l’altro, uomo o donna che sia, non ha rispetto neanche di sé stesso.
Oggi parliamo molto di parità. ‘Pari opportunità’ diciamo. Secondo me questo pensiero rischia di essere parziale. Ha bisogno di trovare un’apertura maggiore. Il pensiero delle pari opportunità ha bisogno di incontrare il pensiero della differenza. Uomini e donne, con pari opportunità, nel rispetto della differenza.
Differenza. L’essere umano, possiamo dire, è due: maschile e femminile. Perché possa vivere nella completezza, esso richiede una doppia immagine, un doppio io per esistere. C’è un io maschile e un io femminile. DUE - scriveva Erri De Luca - non è il doppio di uno, ma il suo contrario. Uno dice solitudine, isolamento, mancanza d’incontro, impossibilità di dialogo. Due dice incontro, scambio, collaborazione, rispetto, affetto, amore.
Nel mito delle origini, come ce lo tramanda la Bibbia, si racconta che Adàm si sente solo, nonostante il bellissimo giardino che abita e i tanti animali che il creatore gli ha dato per fargli compagnia. Soltanto quando incontra la donna, riesce ad esclamare: “Questa volta sì che è carne della mia carne e osso delle mie ossa!”. Pensate, sono le prime parole che il primo uomo riesce a dire. Perché è solo nell’incontro con l’altro, simile a me nella differenza da me, che nasce la parola.
Da sempre gli uomini sono rimasti affascinati dal mistero del maschile e del femminile. In tutte le culture ci sono miti che cercano di spiegarne le origini e la ragione. Così affascinati da arrivare perfino a dire che l’essere umano, in quanto maschio e femmina, è simile a Dio, è la sua immagine. Ancora nel mito biblico, che fonda in qualche modo la nostra cultura, si racconta che un giorno, era il sesto giorno del suo lavoro, il Dio creatore del mondo dice con sé stesso: “Facciamo l’uomo. Simile a noi, sia la nostra immagine”. «… e Dio - continua il racconto - creò l’uomo simile a sé, lo creò a immagine di Dio. Maschio e Femmina lo creò» (Cfr. Genesi 1-2).
Come superare la violenza che ogni giorno sembra voler colorare con la sua ombra le relazioni degli uomini con le donne?
Poter riscoprire l’appartenenza alla medesima umanità e guardare la differenza, reciproca, fa nascere l’incontro. E dove c’è l’incontro non c’è posto per la violenza.
Forse allora ha ragione il manifesto della nostra Regione che, dopo aver ricordato che chi umilia una donna non è un uomo, continua dicendo l’8 marzo è sempre. Ogni giorno.
Se lo viviamo così, allora davvero l’8 marzo, nato come giorno di lutto, può diventare giorno di festa. E magari non ci sarà più neppure bisogno di un giorno speciale, perché sarà una festa che è sempre, ogni giorno. Per le donne e per gli uomini.