VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

6 dic 2009

Crocefisso. Il dolore dell'uomo

Ho letto il suo articolo LA SUA MANO SULLA SPALLA. E’ molto bella quella pagina e la preghiera che ci suggerisce, e la ringrazio per avercela proposta. Però sulla sentenza della corte europea sul crocefisso nelle scuole secondo me noi cattolici dobbiamo essere molto chiari nel prendere posizione… Il crocefisso rappresenta il simbolo del cristianesimo, e le radici cristiane dell’Europa non possono essere dimenticate o addirittura ignorate. Io penso che noi non dobbiamo aver paura di difendere le nostre tradizioni e dobbiamo lottare perché questa sia riconosciuta…

Enzo G.

 

Caro Enzo, nell’articolo cui lei fa riferimento ho provato ad offrire un pensiero che ci portasse al di là del limite angusto delle polemiche. Vede, io penso che quando le religioni diventano causa di divisione tra gli uomini o, addirittura, sono usate per metterci gli uni contro gli altri, le religioni tradiscono sé stesse. Provo a spiegarmi.

La parola religione porta in sé l’idea di legame, di unione. Essa viene dal latino religare (re = un rafforzativo + ligare = unire): indica l’idea di unione degli uomini con la divinità. Per noi cristiani essa indica l’unione tra noi e il Dio che ci ha fatto conoscere Gesù.

 

Il crocefisso, nel tempo, è diventato un simbolo del cristianesimo. La vicenda umana di Gesù di Nazareth, che termina, appunto, sulla croce, è per noi cristiani l’immagine dell’amore paterno e materno che il Buon Dio ha per tutte le sue creature. Per questo noi ci mettiamo di fronte a questa immagine per entrare in comunione con Lui, in quei momenti di silenzio e di raccoglimento che accompagnano la nostra meditazione e la nostra preghiera.

 

Ora, comunque, ci viene offerta un’occasione. Una sentenza - povera, in verità, d’intelligenza e di cultura - ci permette di guardare meglio qual è il senso che stiamo dando a questa immagine. Il senso che noi cristiani diamo al crocefisso.

Perché quando ne parliamo come di immagine del cristianesimo e di simbolo della nostra cultura, io credo che ne stiamo restringendo il significato. Non solo, temo che ne stiamo facendo uno strumento di divisione e di conflitto piuttosto che un segno di unità e di pace tra gli uomini e tra i popoli.

 

Secondo me dovremmo trovare il coraggio di fare un passo avanti. Di permettere, cioè, che esso diventi un simbolo che possa appartenere a tutta l’umanità. Non soltanto ad una parte. Esso apparterrà ad una parte fintanto che continueremo a pensarlo soltanto come il simbolo di una religione, della nostra religione, e a volerlo proporre, o imporre, come tale.

 

Cosa intendo dire con fare un passo avanti? Per me vuol dire provare a spogliarci di questa immagine come di un’immagine che ci appartiene perché cristiani, e consegnarla a tutti gli uomini di questo mondo. Come un’immagine che appartiene a tutti. Perché ci rappresenta tutti.

 

Per due motivi, almeno.

Il primo. Provi a pensare quale elemento di unione diventerebbe se cominciassimo a guardare a quell’uomo sulla croce vedendovi l’immagine della sofferenza umana. L’immagine del dolore che ci è compagno nella vita. Questa è un’esperienza che appartiene a tutti: credenti e non credenti, cristiani e musulmani, buddisti e induisti, cattolici e laici, uomini di destra e uomini di sinistra. La sofferenza è una dimensione della vita con la quale tutti abbiamo occasione di incontrarci. Non le pare?

 

Non solo. Quell’uomo sulla croce è anche l’immagine della violenza umana. Del dolore che gli uomini causano ad altri uomini. La violenza, il sopruso, l’ingiustizia, l’egoismo, la prevaricazione degli uni sugli altri. La mancanza di attenzione all’altro, il dialogo che non sappiamo più dove sia andato a finire. Le relazioni sociali e politiche fatte di schifezze e meschinità che ci scagliamo gli uni contro gli altri…

 

Vede, Enzo, se il crocefisso è il simbolo di una religione, allora dovrebbe stare soltanto nelle chiese e nelle case di chi in questa religione si riconosce. Qui starebbe con tutto il rispetto, l’attenzione e la devozione che merita.

 

Se, invece, potessimo imparare a guardare il crocefisso come il segno della sofferenza umana, allora sì che dovrebbe stare nelle aule scolastiche, perché i nostri figli, bambini e ragazzi, hanno bisogno di riflettere sul senso della vita e sul significato del dolore. Così come hanno bisogno di imparare a riflettere su come costruiamo le nostre relazioni. Sul piano personale (tra amici, tra parenti, tra conoscenti), e in una dimensione più ampia, fino a comprendere nel loro sguardo i rapporti tra i popoli (diritti umani calpestati, nazioni che vivono nello spreco e popoli che non hanno il necessario per vivere…).

L’immagine dell’uomo crocifisso dovrebbe stare nelle camere d’ospedale, dove la sofferenza è compagna inseparabile, ora per ora e giorno per giorno. Dovrebbe stare nelle aule dei tribunali: pensi alla sofferenza di tante persone che cercano di avere un po’ di giustizia in questa vita. Dovrebbe stare nei posti di lavoro, perfino sulle strade: per ricordarci che non siamo i padroni delle nostre vite né di quelle degli altri, per ricordarci che un comportamento civile e responsabile limiterebbe il numero di nuovi ‘crocefissi’.

 

Lo so che fare questo passaggio è difficile. Per questo mi sono permesso di definirlo un passo avanti. Fare questo passo significa avere il coraggio di non sentirci più i ‘proprietari’ del crocefisso. Esso non ci appartiene perché cristiani. E non ci rappresenta in quanto cristiani. Ci appartiene e ci rappresenta perché siamo uomini.