3 mag 2009
Tra corpo e anima
Da Platone ad Einstein (1)
Sono vari mesi ormai che tengo nei pressi della scrivania la fotocopia del suo articolo del 9 novembre su Voce. (…) Mi permetto di farle questa “semplice” domanda: è proprio compatibile con l’antropologia cristiana sia la formula di Einstein sulla reversibilità tra materia-energia applicata al rapporto corpo-anima, sia la visione totalizzante delle “religioni mistiche” dell’oriente (induismo e buddismo) la cui suprema aspirazione e salvezza consiste nel “dolce naufragar in questo mare” (per dirla con un richiamo leopardiano) dell’infinità dell’Essere o del Nulla? Devo dirle che nutro dei seri dubbi in proposito, soprattutto perché – come sa meglio di me – l’Oriente non possiede quel concetto di “persona” che costituisce invece l’apporto tipico (magari esasperato nell’individualismo) che il cristianesimo ha portato alla cultura occidentale e anche mondiale. Che ne dice?
Vittorio D.
Caro Vittorio,
prima di tutto grazie. Per la forza che ha avuto nel decidere di scrivere e per lo stimolo alla riflessione che, con le sue domande, ha saputo dare a me e, di conseguenza, ai nostri lettori. Lei, però, sa bene che le sue domande proprio semplici non sono! Allora, con il suo consenso, mi prendo il permesso di provare a rispondere in due ‘puntate’. Oggi e la prossima volta.
Da sempre con il nostro linguaggio noi cerchiamo di dare un nome alle cose. Per non perderci in esse. Così facciamo anche con le ‘cose’ di fronte alla cui complessità il nostro pensiero è in affanno. Tra queste, l’anima e il corpo sono le prime: l’uomo è di sicuro l’essere più complesso in assoluto. In questo tutte le scienze concordano. In questo concordano anche la filosofia e la teologia.
Chi ci sa spiegare cos’è l’anima? E il corpo, chi ci sa dire cos’è? Le scienze umane si perdono nel momento in cui provano a dire dell’anima e del corpo e del rapporto tra queste due realtà. Due? Perché dobbiamo chiedercelo: sono due realtà o due aspetti diversi di una realtà che è unica, che è l’uomo vivente?
Dato che lei, Vittorio, fa riferimento all’antropologia cristiana, proviamo a vedere cosa ci dice la Bibbia in proposito. In essa non c’è una definizione chiara dell’anima. Meno ancora, quindi, di ciò che noi definiamo ‘rapporto anima-corpo’.
Nel Primo Testamento, nel testo originale ebraico, troviamo almeno cinque parole che possono essere tradotte con l’italiano anima. Ma nessuna di esse ne esaurisce il significato. Nèfesh, ruàch, neshamàh, jehidàh, hajàh. L’anima è vita, l’anima è soffio, l’anima è respiro, l’anima è vitalità, l’anima è unicità. Queste parole sembrano sinonimi, ma in realtà non lo sono. Perché ciascuna di queste esprime come un aspetto particolare di ciò che chiamiamo anima.
Il Nuovo Testamento, nel testo originale greco, usa la parola psyché per indicare l’anima. Ma sappiamo bene che essa spesso sta a significare vita o anche l’uomo stesso, o addirittura tutti i viventi.
Tuttavia la domanda sull’uomo da sempre è stata una domanda aperta nel cristianesimo. E lei giustamente parla di antropologia cristiana. Noi sappiamo che questa si è sviluppata attraverso le categorie della filosofia greca. Il pensiero di Platone e di Aristotele, riletto dai padri della chiesa, da S. Agostino e S. Tommaso in particolare, è tuttora presente in quella che possiamo cogliere come la prospettiva tradizionale nel cristianesimo. In questo processo si è venuta formando e consolidando l’idea dell’uomo, come essere ‘composto’ di anima e di corpo. Come fossero due ‘cose’ ben distinte: il corpo-materia (in greco sòma), l’anima-spirito (gr. psyché).
Oggi, questa immagine dell’uomo, sufficientemente chiara su un piano concettuale, lascia aperte tante domande. Come è giusto che sia. Soprattutto quando questa si deve misurare con le nuove scoperte della scienza, in particolare della fisica. Che, ai giorni nostri, non è più quella che conoscevano i greci o gli scienziati dei tempi di S. Agostino o di S. Tommaso.
Non possiamo dimenticare, infatti, che quello che ci offre la tradizione antropologica è soltanto un modello, un tentativo di spiegazione sulla natura e sul funzionamento dell’essere umano. Tentativo certamente illustre e meritevole di ogni considerazione, dato che è stato sposato da gran parte della tradizione filosofica e teologica successiva. Ma è pur sempre un tentativo. Con una parola più moderna potremmo dire che è un’ipotesi di ricerca, di spiegazione. Ma non possiamo dargli il compito di rappresentare tutta la verità sull’uomo. Per di più in maniera esclusiva e per tutto il tempo a venire.
La filosofia e la teologia, come anche la scienza - ciascuna di esse con il proprio linguaggio e i propri strumenti - elaborano dei modelli per approfondire la conoscenza dell’uomo (e dell’universo, di cui l’essere umano è parte integrante). Ma dobbiamo essere molto attenti a non confondere il modello con la realtà. Questa (la realtà) è infinitamente più ricca di qualsiasi rappresentazione.
In questo contesto, il confronto con le filosofie/religioni orientali - taoismo, buddismo, induismo - è, secondo me, una strada da percorrere per arricchire le prospettive della ricerca. E per comprendere ancora più profondamente la ‘natura’ dell’essere umano. Che la Bibbia vede così ‘grande’ da presentarcelo come immagine del Creatore.
Ci dobbiamo fermare qui, per oggi. La settimana prossima, alla luce di quanto sa dirci oggi la scienza, proveremo a vedere come sia possibile muoverci anche attraverso altre ipotesi di ricerca. Che possono aiutarci, nel tentativo di avvicinarci ancora un po’ di più alla comprensione dell’uomo, senza correre il rischio di sminuire la grandezza.