5 lug 2009
Pianeta famiglia
Depressione dopo il parto? (1)
Sapevate che c’è una moda anche per le malattie? Una ‘malattia’ di moda, oggi, è proprio la depressione. Di moda? Eh, sì. Questa volta, però, a fare la moda non sono gli stilisti con le loro creazioni. ’Sta volta sono le case farmaceutiche (= le fabbriche delle medicine). La vendita di psico-farmaci (antidepressivi e ansiolitici) è una di quelle voci che non sentono nessuna crisi. Complici delle case farmaceutiche, naturalmente, sono quei professionisti che da queste si lasciano ‘incoraggiare’: regali più o meno costosi, viaggi-vacanza, congressi pagati, ecc. I modi per ‘ricompensare’ quei medici che fanno vendere il prodotto (= le medicine) sono piuttosto variegati.
Torniamo a noi. Ci siamo già detti come per ogni donna il periodo che segue il parto è uno di quei momenti di maggiore fragilità. La tristezza, il bisogno di piangere, sentire che in certi momenti non ce la fa più con il suo bambino… sono sentimenti che la accompagnano in questo periodo. - Ma come? Una madre non dovrebbe essere felice? Allora c’è qualcosa che non va. Che facciamo? Trovato! Una buona diagnosi. Una bella etichetta, chiara e indiscutibile: malata di depressione post partum (dal latino post = dopo + partum = parto). Importante, però, è dire che è ‘malata’. Perché così nessuno ci può fare niente: se è una malattia, nessuno è responsabile. E cosa c’è di meglio, di fronte ad una ‘malattia’, che dare una buona dose di medicine (= psicofarmaci)?
Lo so che non è sempre così. Per fortuna! Ma, onestamente, è difficile continuare a tollerare che diagnosi di depressione vengano fatte con tanta leggerezza. Tanto più in un momento così forte nella vita di una donna. Grazie a Dio non è la maggioranza dei professionisti a comportarsi così: ma sono ancora troppi, a mio parere.
La settimana scorsa scrivevo che quando nasce un bambino, la vita di una donna è profondamente cambiata. Dicevo stravolta. Perché una parola tanto forte? Perché fino a ieri la sua vita era in un modo, oggi è totalmente diversa. Da un giorno all’altro.
Vogliamo vedere qualcuno di questi cambiamenti?
- Intanto ha partorito. Che non è stata una passeggiata. O magari ha dovuto fare un cesareo (che è un intervento chirurgico, non un parto più facile). E ora il suo organismo ha bisogno di trovare un nuovo equilibrio.
Poi.
- Da oggi lei non ha più la pancia. Quella pancia che ultimamente era piuttosto ingombrante, oggi non c’è più. Una liberazione, certo, ma anche una perdita. E’ l’inconscio che lo sente così. Non certo la ragione. E’ come aver perduto una parte di sé.
- Ora c’è un bambino. Una grande gioia, certo. Ma anche una grande responsabilità. Questo bimbo è suo figlio, ma è anche un ‘estraneo’, diciamo uno sconosciuto. Ci vorrà un po’ di tempo per prenderci confidenza. E non è che può aspettare di conoscerlo bene per prendersene cura. Deve farlo da subito. E in prima linea c’è lei. Magari c’è la mamma che l’aiuta, il marito (speriamo!), una sorella, ma in prima linea c’è lei.
- Fino a ieri quando voleva uscire e fare due passi o incontrare un’amica, poteva farlo. Magari con qualche sospiro in più a causa del pancione, ma, se stava bene a lei, stava bene a tutti. E oggi? Oggi non può più uscire quando vuole. C’è il bambino. E, se pure esce, sa che dopo poco dovrà tornare per dargli il latte. Un’ora di libera uscita? Sì, ma se c’è qualcuno a casa con il bambino. Oppure se può portarlo con sé. Ma com’è il tempo? Poi vestirsi, vestire il bambino per uscire... Accidenti, è già ora di rientrare!
- La notte. La notte! Chi sa perché questi bambini quando vengono al mondo non hanno ancora imparato che la notte è fatta per dormire! (L’abbiamo fatto anche noi, da bambini. Noi non ci ricordiamo: possiamo chiederlo a nostra madre.) Ebbene, di notte il suo sonno è fatto a pezzetti. Nel senso che può dormire per un po’, poi però, appena lui si sveglia, lei deve essere pronta ad alzarsi: cambiarlo, dargli il latte, farlo riaddormentare, poi rimettersi a letto e cercare di riprendere sonno. Magari con la preoccupazione di ‘non disturbare’ il marito. Che deve dormire: sai, lui domattina deve andare a lavorare… se si sveglia poi diventa nervoso, non ce la fa più a riprendere sonno. E lei? Eh, che discorsi sono? Lei ce la deve fare! Eppure anche lei appartiene alla specie umana: tutti gli esseri umani, se non dormono, stanno male.
- Il marito. Lui ha ripreso il lavoro. Esce la mattina e torna la sera. Magari gli fanno i complimenti perché è diventato padre. E questo è bello. Riprendendo il lavoro ha ripreso anche le sue relazioni sociali. Insomma, tutto riprende come prima.
- Le giornate di lei? Le sue giornate ora sono dentro casa. Insieme al bambino. Lo accudisce, lo cambia, gli dà il latte, lo fa dormire, ci gioca, lo guarda, lo tiene fra le sue braccia. Se lo gode. Ma… ma tutto il suo mondo è lì. Lei e il bambino. E quando lui piange e piange, e lei gliel’ha fatte tutte, ma lui piange ancora, e lei non sa più cosa fare? E’ sola. Sola con suo figlio che dipende totalmente da lei. Può dire di essere sfinita? Può permettersi di sentire, in certi momenti, che non ce la fa più? E le viene da piangere…
Come? Le viene da piangere? Ma è chiaro: questa donna è ‘malata’: depressione post partum. Una madre non può essere triste, lei deve essere felice. Altrimenti che madre è? Una che è sfinita perché sta tutto il giorno, da sola, con il suo bambino, non può essere stanca, non può venirle da piangere. Vuol dire proprio che è ‘malata’: depressione post partum. L’ha detto anche il dottore!
Chi sa, forse avete ragione voi. Il mio errore deve essere quello di pensare che una madre è una persona. E che anche le sue forze sono limitate. Come quelle di ogni persona, uomo o donna.
Ma - vi sento già - non fare lo psicologo! La storia dello sconvolgimento nella sua vita è tutta una scusa. Lei ora non è più una donna: ora è una madre. E una madre è solo una madre. Super, super, super… Altrimenti che madre è?
Cari mariti (e cari colleghi professionisti)… Alla prossima!