VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

18 ott 2009

Pianeta famiglia

Genitori, uno o due? (1)

Quattro mesi fa è nata Lucia, la nostra prima figlia. Io passo tutto il giorno con lei e certe sere sono proprio stanca. Però devo dire che non è lei che mi affatica. E’ la mancanza di un supporto morale, di un dialogo col mio compagno, del non ricevere ascolto e sostegno mentale dopo giornate piene di impegni ed evoluzioni. Come ieri: quando lui torna va a riposare perché stanco del lavoro, poi mangia; e prima di uscire per la partita di calcetto con gli amici si mette pure a giocare con la playstation. Questo mi stanca mentalmente più delle notti insonni tra pappe e pannolini. Magari sbaglio io.

Marta B.

 

Cara Marta, lei non sbaglia. O un po’ forse sì. Vediamo.

Da quattro mesi, la vostra vita è cambiata: Lucia ha portato una nuova energia nella vostra casa. Ed ora questa energia chiede di essere accolta e di essere condivisa. Tra voi.

Lei e il suo compagno siete i suoi genitori. Vede, finché usiamo questa parola, possiamo pensare che siete ‘alla pari’: nel senso che, da quando siete diventati genitori, vi ritrovate tutti e due con la casa illuminata dalla vostra bambina e riempita dalla sua presenza. Lei vi dona gioia e piacere, e vi chiede tanto impegno e tanta cura. Siete i suoi genitori, dicevo.
Se, però, al posto di genitori proviamo ad usare altre due parole, mamma e babbo, allora troviamo subita una grande disparità. Che significa grande differenza.

Lei è in casa, il suo tempo è riempito dalla presenza di Lucia. E ogni volta che i vostri occhi s’incontrano e ogni volta che lei guarda questo piccolo angelo entrato nella sua vita, è come se Lucia le ricordasse che lei, Marta, ora è la sua mamma e lei, Lucia, la sua bambina. Per di più questo richiamo, che ora si moltiplica mille volte al giorno, arriva dopo nove mesi di un’intimità unica, che insieme avete vissuto. L’intimità della gravidanza. Che è appartenuta soltanto a voi due.

 

E il suo compagno?

Lui esce il mattino e torna la sera. A lui non arriva un richiamo così forte, così intenso. E così frequente. Certo, lui ora è diventato padre. Ma è come se ancora non sapesse bene cosa questo significhi per lui. Lui non ha esperienza - come del resto non l’aveva lei prima di diventare madre.

 

Si dice, di solito, che nessuno ci insegna a fare i genitori. Eppure tutti, in realtà, abbiamo frequentato una scuola. Ci aveva mai pensato? La scuola che abbiamo frequentato per imparare a fare i genitori è la nostra famiglia d’origine: quella in cui siamo nati e cresciuti. Questo significa che ciascuno di noi ha interiorizzato un modello di genitore. Nel bene e nel male. Per gli aspetti buoni e positivi, come per quegli aspetti meno buoni o addirittura negativi.

Il modo in cui nostra madre si è presa cura di noi, diventa modello di riferimento per una giovane donna che diventa mamma. Così come il modo in cui nostro padre si è comportato con noi diventa modello di riferimento per un giovane uomo che diventa padre.

Se vogliamo usare un’immagine, possiamo dire che una donna, per fare la mamma, apre il quaderno di appunti della sua vita (quello conservato nella memoria del suo cuore e della sua mente) dove trova ‘scritto’ come sua madre ha fatto la mamma con lei. E lei tenderà ad essere una mamma come sua madre. Lo stesso avviene per il suo compagno: lui troverà ‘scritto’ nel suo quaderno come suo padre ha fatto con lui e tenderà a ripetere lo stesso comportamento.

Automaticamente? Saremo proprio uguali a loro? No. Non proprio uguali. Perché possiamo apportarvi delle correzioni: possiamo cambiare qualcosa di ciò che non ci è piaciuto e non ci piace, e potenziare, invece, ciò che i nostri genitori hanno fatto di buono con noi.

 

A questo punto, allora, dobbiamo chiederci: come sarà stato il padre del suo compagno con lui bambino? Forse anche lui era tutto impegnato nel suo lavoro e nei suoi hobby, lasciando la cura e l’accudimento del figlio alla sola mamma? E’ molto probabile che sia stato così: questo era un modo piuttosto comune di fare il padre, trenta o quaranta anni fa. Come era piuttosto normale che una madre si prendesse cura dei figli solo lei, lasciando il marito del tutto, o quasi del tutto, fuori.

Una domanda analoga, però, dobbiamo farci anche per lei. Come ha fatto la mamma con lei sua madre? Forse anche sua madre ha fatto un po’ come da genitore unico con i suoi figli, lasciando che il marito stesse in panchina piuttosto che a ‘giocare’ sul campo di padre?

 

Oggi le scienze psicologiche ed educative ci dicono che questo modello ‘vecchio’ non è buono né per i figli né per i genitori. I figli hanno bisogno della presenza e delle cure della mamma così come hanno bisogno della presenza e delle cure del babbo.

 

Il suo disagio, quello che la fa sentire ‘sola’ con la bambina, è un buon segno. Lo ascolti. Significa che nel suo cuore lei sente che non può fare da madre e da padre. E sente bene. Perché Lucia ha bisogno anche della presenza del babbo. Proprio come lei ha bisogno della presenza del suo compagno per crescere bene la vostra bambina.

Ricorda? Dicevo sopra che forse anche lei sbaglia. E’ qui, nel come si giocherà questo disagio, che lei può sbagliare.

 

Proveremo a vederlo la prossima settimana: ripartiremo proprio da qui. Per ora grazie per le riflessioni che ci permette di condividere.