22 feb 2009
Intorno alla morte di Eluana
La parola e il silenzio
Quanto rumore questi giorni, quante parole intorno alla morte di una giovane donna! Ne abbiamo parlato anche in questa rubrica, provando a condividere qualche pensiero e qualche domanda. Il rumore che ci ha circondati è pieno delle parole che ci siamo tirati addosso. Gli uni contro gli altri.
Le parole, si dice, sono come pietre. Le pietre servono per costruire, ma anche per distruggere. Dipende dall’uso che ne facciamo. Case, ponti, monumenti, con secoli di vita sulle spalle, ancora ci sorprendono per la bellezza e la forza che sanno esprimere in tutta la loro solidità. Ma da tempi immemorabili, nella storia dell’umanità, abbiamo saputo usarle anche per uccidere (pensiamo alla lapidazione, anch’essa sopravvive da secoli, monumento vergognoso dell’ingegno umano).
Le parole come pietre.
E di parole ne sono state dette davvero tante! Da destra e da sinistra. Da cattolici e da laici. Da credenti e da non credenti. Da uomini di potere e da cittadini anonimi.
“In principio è la parola” è scritto nella Bibbia. La parola cioè come fondamento dell’esistenza, come origine della vita. Nel mito dell’origine è scritto che il Signore Dio crea il mondo con dieci parole. La parola, origine di vita, diventa tra gli umani il luogo dell’incontro, la strada del dialogo. Ma le parole hanno bisogno del silenzio per essere ascoltate. Questi giorni, invece, abbiamo coltivato parole per scagliarle addosso a chi si faceva guidare da pensieri che non erano come i nostri…
Parliamo di fondamentalismo, lo chiamiamo intolleranza l’atteggiamento di chi vuole imporre ad ogni costo il proprio pensiero agli altri. Ma il fondamentalismo e l’intolleranza non vi pare che camminano anche sulle nostre strade? In campo religioso, nella politica, in famiglia, nelle relazioni umane in genere.
Quanto silenzio siamo in grado di porre accanto alle parole? Si dice che la natura, avendoci dato una lingua e due orecchi, vuole ricordarci che lo spazio dell’ascolto deve essere più ampio dello spazio della parola. Non so se sia vero… Certo è che, provando ad osservare quanto è accaduto questi giorni, credo che sia davanti agli occhi di tutti che i nostri orecchi li abbiamo chiusi e abbiamo moltiplicato le nostre lingue. Abbiamo gridato, applaudito, pianto. Come di fronte ad uno spettacolo o allo stadio.
Perché tanto rumore? Due pensieri, come possibili risposte.
Il primo. Tanto rumore serve per non ascoltare il pensiero dell’altro. Se continuo a riempire lo spazio con le mie parole, le parole dell’altro non arriveranno mai a me. E questo è come un muro di cinta, un muro di protezione per le mie idee. Chi non la pensa come me in fondo mette in discussione le mie opinioni, le mie convinzioni, le mie certezze. E quando le mie idee non sono troppo solide, ogni pensiero diverso rischia di diventare una minaccia per la loro stabilità.
La pretesa di possedere tutta la verità su ciò di cui stiamo parlando, però, è solo espressione di chiusura e di rigidità. Non di forza. Un’idea forte non teme di confrontarsi con un’idea diversa. Essa sa che dall’incontro può solo crescere, ampliare il suo sguardo, rendere ancora più ricca la sua visione delle cose e del mondo.
Un’idea debole, invece, un’idea non sufficientemente solida è incapace di confrontarsi con un’altra, perché si lascia sopraffare dal timore di perdere. E di perdersi. Essa attiva allora una sorta di rigidità che in apparenza sembra forza, ma nella realtà è solo espressione di fragilità. Come la nostra colonna vertebrale. La sua forza è nella capacità di muoversi, di piegarsi e ritornare diritta, di rispondere a tutti quei movimenti che abbiamo bisogno di compiere nella vita quotidiana. Una colonna rigida sarebbe solo in grado di impedire ogni movimento. E, credo, nessuno di noi la vorrebbe avere. Perché, allora, coltivare i nostri pensieri nella rigidità? Essi, per crescere, hanno bisogno del confronto.
Mi chiedo poi - questo è l’altro pensiero - se il rumore non serva anche ad impedirci di ascoltare il silenzio. E a proteggerci dalla sua presenza.
Guardiamoci un momento.
Siamo in casa e non riusciamo a starci senza che la tv, sempre accesa, la riempia con le sue chiacchiere. I nostri pranzi e le nostre cene li passiamo sempre in sua compagnia, con il risultato che non possiamo parlare tra noi neppure in questi pochi momenti che vedono la famiglia riunita. Ai nostri figli, fin da bambini, permettiamo perfino di fare i compiti e di studiare con la tv o lo stereo accesi. Addirittura la usiamo con i bimbi piccoli, quando diamo loro da mangiare, per ‘distrarli’ in modo che così… mangiano quello che vogliamo noi!
E fuori casa? In macchina l’autoradio si accende appena giriamo la chiavetta. Spesso pure a tutto volume. Quando camminiamo, magari per una passeggiata tra il verde o per fare un po’ di sport, i nostri orecchi sono attaccati al telefonino o chiusi con gli auricolari che invadono con suoni/rumori artificiali la nostra testa, isolandoci, così, dalla natura e dalla sua musica.
Quando un po’ di silenzio? Il silenzio è il luogo dove possiamo incontrare la nostra anima e dialogare con essa. La stanza dove lei ci aspetta per parlarci, per permetterci di ascoltare i nostri pensieri, quelli che ci fanno accorgere di essere vivi. E che ci fanno guardare con buona attenzione a dove e come stiamo navigando nel mare della vita. E’ il luogo dove il nostro respiro può incontrare il Respiro di Dio.
La discussione che in questi giorni anima il nostro paese ci chiede di far dialogare la vita con la morte e di ascoltare la loro conversazione. Se non facciamo attenzione alla loro voce, continueremo a litigare tra noi, accusandoci reciprocamente di prepotenza e di intolleranza. Laici, cattolici, credenti, non credenti, di destra, di sinistra. Continueremo a usare le parole per abbattere l’avversario (= chi non la pensa come me) piuttosto che per costruire l’incontro e la ricerca del bene comune.
Il problema è che la voce della vita e della morte è sì una voce forte, perché loro continuano a parlarsi, anche se noi non le ascoltiamo, ma il suo volume non è alto. Esso è tenue, come un sussurro di vento leggero. Forse la loro voce ci chiede di riabilitare i nostri orecchi, induriti dall’abitudine al rumore, perché essi imparino ad ascoltare il silenzio. Il luogo dove vita e morte si parlano e ci parlano.
Allora anche la sofferenza e la morte di Eluana, e di tutte le persone nelle sue stesse condizioni, non saranno state inutili.