19 lug 2009
Un albero si riconosce dai suoi frutti (1)
E’ da un po’ che si continua a parlare dei comportamenti dei nostri politici. Più o meno in alto nelle loro cariche istituzionali. Mi sono chiesto cosa può dirci la psicologia su una questione così complessa. Una questione che mette in campo scale di valori, modelli di comportamento, scelte di vita. Capacità di valutare i significati che determinati comportamenti possono assumere, per sé stessi e per gli altri. Anche in relazione ai posti che si occupano.
Allora mi sono detto: chi può ergersi a giudice del comportamento altrui? E nel farmi una domanda come questa mi sono ritrovato a dover fermare i miei pensieri, perché ho dovuto subito riconoscere che la mia scala di valori potrebbe non coincidere con la vostra, così come la scala di valori che guida le scelte di un uomo politico potrebbe essere del tutto diversa dalla mia.
Ho pensato, allora, di provare a proporvi alcune riflessioni. Due in particolare.
La prima nasce dall’osservazione delle reazioni dei politici a tutto questo chiacchiericcio. La seconda emerge dalla considerazione che se una persona viene eletta, significa che, in fondo, nella persona eletta gli elettori ci si riconoscono.
Ma andiamo con calma.
La prima osservazione. Il mondo della politica. Vi siete mai fermati a riflettere su un modo di fare che, in genere, accomuna i nostri politici? A me sembra che tutte le riflessioni, le valutazioni, le critiche, le condivisioni – e tutto quanto ci volete mettere – sono dettate solo dall’essere di parte. Mi spiego.
Si tratta di valutare i comportamenti di un uomo della destra? Bene. Tutti gli uomini della sinistra sono critici, fortemente critici. Tutti gli uomini della destra sono consenzienti, esprimono approvazione, condivisione, accordo.
Si tratta di valutare comportamenti o atteggiamenti di un uomo della sinistra? Ok. Pronti. Tutti i politici della sinistra sono con lui. Quelli della destra contro.
Qualcuno che entra nel merito, indipendentemente dall’appartenenza politica? Quando mai? Magari mi è sfuggito. Vorrei proprio che mi fosse sfuggito. Perché io non sono riuscito a trovarlo. Certo, se fosse veramente così, che tristezza sarebbe!
Duemila400 anni fa, un saggio dell’antica Grecia, Platone, scriveva: «In tutte le occasioni in cui si accalchi una gran folla… da una parte e dall’altra, in questi casi, sempre si eccede con urla e strepiti». Ma, quel che è peggio, è che poi continua dicendo: «Nel mondo delle realtà conoscibili l’idea del Bene viene contemplata per ultima e con grande difficoltà». Sembra che parli di noi uomini del duemila. Che ne dite?
La seconda riflessione. Gli uomini della politica sono i nostri rappresentanti. “Hai scoperto l’acqua calda!” mi direte. E’ vero. Ma questa considerazione dovrebbe farci riflettere ancora di più. Quando vediamo politici che hanno bisogno di ostentare i loro limiti quasi fossero qualità, uomini che sono disposti a qualsiasi compromesso pur di tutelare i propri interessi e gli interessi dei loro ‘amici’, persone che pur di conservare il potere sono disposti a inchinarsi davanti al padrone di turno… mi dico: ma li abbiamo scelti noi questi uomini!
Non sarà allora che, in fondo, dobbiamo riconoscere che essi riflettono i nostri valori? Se li abbiamo eletti, vuol dire che da loro ci sentiamo rappresentati. Se, più ancora, abbiamo messo nelle loro mani il governo del nostro paese, la gestione della cosa pubblica, il potere di decidere le leggi che regolano la nostra vita sociale… non significa, in fondo, che i loro valori sono anche i nostri valori? O, per lo meno, i valori della maggioranza degli italiani?
Se così non fosse, se la maggioranza degli italiani avesse valori quali l’onestà, l’apertura al dialogo, l’attenzione verso l’altro, la disponibilità ad aiutare chi ha bisogno, la capacità di lavorare per la giustizia sociale, il rispetto per i valori della famiglia e per la vita privata, propria e degli altri cittadini… di sicuro avremmo scelto altri uomini a rappresentarci e a governarci.
Quattrocento anni dopo Platone, un altro Maestro insegnava: «Ogni albero si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. L'uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l'uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male» (Luca 6,44).
Certo, questo vale per i nostri politici. Come vale per ognuno di noi, sul piano personale.
Ma il punto sul quale oggi vorrei richiamare la vostra attenzione è un altro. Forse dobbiamo riconoscere che queste parole valgono anche per noi, sul piano sociale. In fondo possiamo dire che i nostri politici sono il nostro frutto. Essi non sono altro che il frutto della nostra società, i portatori dei nostri valori. Noi siamo l’albero che li ha prodotti (= li abbiamo eletti).
Mi chiedevo, sopra, cosa può dirci la psicologia. In questo, credo, essa può venirci in aiuto. Nel diventare uno strumento di riflessione per noi stessi e su noi stessi. Nel porsi, cioè, come uno strumento per attivare la consapevolezza di come noi siamo.
Critichiamo pure i nostri politici: dai loro frutti (= dal loro comportamento) vediamo che razza di alberi sono. Ma, contemporaneamente, nel guardarli, proviamo a pensare che se essi sono il nostro frutto… noi che alberi siamo?