VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

28 mar 2010

150.000 figli

Nello scorso anno, il 2009, sono stati 150 mila i figli coinvolti nella guerra di separazione combattuta dai loro genitori. E’ un dato che ci fornisce l’Associazione dei Matrimonialisti Italiani (= gli avvocati esperti nel diritto di famiglia).

Perché ho scritto guerra di separazione?

Perché spesso, troppo spesso, due coniugi che si separano si lasciano trascinare in una conflittualità che li travolge al punto tale da far perdere loro il lume della ragione. E così avviene che il campo visivo è tutto occupato dal conflitto e i loro occhi non riescono a vedere altro, nemmeno dove stanno i figli. I loro figli.

 

Quella parte della psicologia che si occupa delle relazioni familiari ci insegna che quando nasce una coppia, i due adulti che la mettono al mondo diventano due coniugi: marito e moglie. Due compagni che decidono di attraversare il tempo della vita tenendosi per mano, nel progetto di darsi, reciprocamente, affetto, aiuto e sostegno.

Quando poi decidono di mettere al mondo un figlio, i due compagni di strada diventano anche due genitori. Sono, dunque, due coniugi e nello stesso tempo due genitori.

 

Il progetto di vita insieme, nel corso del tempo, viene messo alla prova dalle vicende della vita che la coppia deve attraversare. Le prove possono consolidare il legame e irrobustirlo, man mano che le viviamo, come pure possono creare crepe e incrinature che, se non sappiamo intervenire in maniera adeguata e tempestiva, possono portare alla perdita di stabilità o, addirittura, al crollo della ‘casa’. Quella casa che insieme avevamo iniziato a costruire e avevamo in progetto di ampliare facendovi ‘entrare’ i nostri figli.

E così siamo arrivati, in questi nostri anni, a vivere una triste realtà: in Italia un matrimonio su tre finisce con una separazione.

                                                                

Quando ci troviamo travolti dalla crisi, i nostri cuori si riempiono di dolore e di angoscia. Il senso di fallimento invade i nostri pensieri. E’ il fallimento di un progetto la sensazione con cui dobbiamo fare i conti dentro di noi.

Il peso del fallimento porta ciascuno dei due coniugi a mettere in atto un tentativo di alleggerimento dei propri sensi di colpa attraverso un meccanismo, assai conosciuto da tutti noi in tante situazioni di vita, che si concretizza nell’attribuire all’altro le colpe e le responsabilità della fine. Il progetto originario non regge più. E il dolore per la perdita è così grande che ci troviamo immersi nella nebbia. La nebbia della confusione dei sentimenti.

Tanto spesso la nebbia è così fitta che non vediamo più niente e nessuno intorno a noi. Nemmeno i figli. I figli? Sì, i figli.

 

Forse è capitato a tutti noi, adulti, di sentirci dire da uno dei nostri genitori che se non c’eravamo noi, loro si sarebbero lasciati. Se non è capitato a tutti, sicuramente a molti di noi sì.

Forse è questa la strada più giusta? Forse è meglio restare insieme in una relazione senza vita piuttosto che separarsi? Non so rispondere a questa domanda. Non so rispondere, perché ogni coppia ha la sue difficoltà e le sue energie per affrontarle: e non credo che si possano dare regole valide per tutti. E’ necessario che ciascuno cerchi la sua strada e provi a percorrerla. Ogni persona, così come ogni coppia. Nel rispetto dei suoi princìpi e dei suoi valori.

 

Una regola, però, dobbiamo darcela. Una regola che guidi questo momento così pesante e doloroso.

La regola è questa. I coniugi si possono separare, i genitori non possono separarsi.

Che significa? Significa che se pure il marito e la moglie a un certo punto della vita possono decidere di non riconoscersi più come coniugi, il babbo e la mamma restano sempre e comunque padre e madre per i loro figli.

I figli, cioè, hanno bisogno che i loro genitori restino accanto a loro. Nei diversi modi che le diverse età (dei figli) richiedono. Perché i figli hanno diritto di avere due genitori.

 

Darci questa regola significa che la relazione di genitori dovrà prevalere sulla relazione di coniugi. La conflittualità va dunque giocata tra i due adulti (divisione dei beni, della casa, dei soldi…), ma non si può giocare sui figli. Sulle spalle dei figli. Quante volte sentiamo uno dei due minacciare l’altro di non fargli vedere il figlio. Quante volte si litiga sui tempi in cui un figlio può incontrare l’altro genitore, quello con cui non vive abitualmente. Quando non si arriva, addirittura, a parlare male dell’altro genitore con il proprio figlio!

 

Oggi il diritto di famiglia parla di affido condiviso. Per dire che un figlio non è più affidato ad un solo genitore, ma a tutti e due. Purtroppo, però, non è una sentenza del giudice che rende con-divisa la crescita di un figlio. E’ solo il desiderio di prenderci cura dei nostri figli che può aiutarci a non coinvolgerli (= non travolgerli) nelle conflittualità nostre. Di noi adulti.

Prima viene il bisogno dei figli di avere due genitori. Dopo, solo dopo viene il bisogno dei genitori di avere un tempo da condividere con i figli.

 

Non dimentichiamo: un figlio conteso è un figlio infelice. Solo un figlio ascoltato e rispettato nei suoi bisogni può crescere sufficientemente bene, anche se i suoi genitori sono due coniugi separati.