5 dic 2010
Due adulti alla pari (3)
C’eravamo lasciati la settimana scorsa ragionando sulla necessità di alimentare la relazione tra coniugi anche quando si diventa genitori.
Proviamo oggi ad entrare un po’ di più nella relazione uomo-donna in casa. Poi, per un momento, guarderemo la coppia dei genitori con gli occhi di un figlio.
E’ vero, ce lo diciamo e ce lo sentiamo ripetere milioni di volte: gli uomini si pongono con le proprie compagne come se queste fossero le nuove mamme. Passiamo da una madre più grande di noi - quella che ci ha messo al mondo (insieme con nostro padre!) - ad una ‘madre’ nostra coetanea. E rimaniamo eterni figli.
Ma altrettanto vero è che tanto spesso le donne continuano a trattare i loro compagni proprio come fossero dei figli. Pensateci: raccogliete i suoi vestiti, le scarpe che lui lascia in giro per casa. Gli preparate perfino i calzini da mettere la mattina. E chi sa quali altre ‘attenzioni’. Come fosse… un altro figlio. Siete più esigenti con le vostre figlie che con lui.
Ho detto ‘le vostre figlie’, perché è diverso ciò che in famiglia si chiede ad un figlio maschio. Mettere a posto la camera, per esempio, o rifare il letto o sistemare i vestiti nell’armadio. Fare la lavatrice, sparecchiare la tavola, aiutare in cucina. Dare una mano con il fratellino più piccolo, aiutare con il nonno malato. Vi pare che tutto questo, come genitori, lo stiamo chiedendo in egual misura alle figlie e ai figli? O non facciamo piuttosto una grande differenza tra ciò che si può, o si deve, chiedere al maschio e ciò che si può, o si deve, chiedere alla femmina?
Direte: ma cosa c’entra con il fatto che i mariti si pongono come figli rispetto alle loro mogli? Pensateci bene. È qui, nella sua famiglia, che un ragazzo impara che lui certe cose non le deve fare, non le deve neanche pensare! Mettere a posto i pantaloni che si toglie o mettere nel cesto della biancheria sporca i calzini o le mutande da lavare… perché deve farlo lui? Tanto c’è mamma che ci pensa! E quando non ci sarà più mamma? Nessun problema: c’è la moglie. La nuova ‘mamma’. Sarà lei a doverlo fare. Perché anche lei, nella sua famiglia, ha imparato che deve fare così.
Ora facciamo un salto.
Magari a molti di voi sarà sfuggito, anche perché tv e stampa ne hanno parlato giusto quel giorno. Giovedì scorso, il 25 novembre, è stata la Giornata Internazionale contro la Violenza sulle Donne. Noi ne abbiamo parlato anche l’anno scorso e ci dicevamo come non è certo segno di civiltà se nei nostri paesi, tanto evoluti sul piano tecnologico, culturale e scientifico, abbiamo bisogno di organizzare una giornata come questa. Eppure, se andiamo a guardare certi dati, dovremmo dire che un giorno è niente: ci vorrebbe un anno intero per riflettere e per considerare quanto siamo indietro, cioè incivili, nel rapporto uomo-donna. Pensate: in Italia 14 milioni di donne sono oggetto di violenza (fisica, sessuale o psicologica). Quattro donne su dieci (cioè il 40%) questa violenza la ricevono dal proprio partner (marito o compagno). Di tutte le donne che muoiono perché uccise da qualcuno, sette su dieci (cioè il 70 %) sono uccise dall’uomo che è o è stato il loro partner.
Vi sembra impossibile? Eppure questi sono i dati che ci offrono le statistiche.
Direte: cosa c’entra questo con il discorso che ci stavamo facendo prima?
Proviamo a pensarci.
Quando noi parliamo di violenza, di solito pensiamo a gesti o azioni molto gravi. Certo, quando parliamo di donne picchiate dal proprio compagno o addirittura uccise, parliamo di situazioni molto pesanti o addirittura estreme. Ma, primo: uomini che mettono le mani addosso alle proprie compagne di vita non sono poi così rari, purtroppo, e lo fanno spesso anche in presenza dei bambini; secondo: non vi pare che trattare la moglie come se fosse una serva (per le faccende in casa, per la cura dei bambini, perfino nell’intimità coniugale) sia un atto e un atteggiamento di vera e propria violenza?
Oggi, uomini del duemila, cittadini di uno dei paesi più civili al mondo, facciamo dibattiti e conferenze parlando di pari dignità e di pari opportunità tra uomini e donne. Ci abbiamo costruito perfino un Ministero. Forse che in casa tutto questo non vale?
Un uomo che, tornando a casa, è stanco e si mette davanti alla tv o su internet, mentre la moglie (anche lei tornata da una giornata di lavoro) deve mettersi a preparare la cena, a prendersi cura del bambino, a fare la lavatrice e a stirare fino a mezzanotte… Non sembra a voi che questa è una sottile (sottile?) forma di violenza verso la propria compagna?
E un uomo che lascia la moglie con un bambino di pochi mesi perché lui ora ha capito che non è innamorato di sua moglie - che è la madre di suo figlio - e ha trovato, finalmente (!), il suo ‘grande amore’, così come ci ha raccontato Benedetta nella lettera che abbiamo letto due domeniche fa… Non è questa una violenza, terribile, che un uomo, adulto, agisce verso la sua donna? E verso il suo bambino?
Vede, Benedetta, dove ci ha portato la sua storia?
Ora, però, prima di salutarci, so di doverle dire un’ultima cosa. Ora lei ha un bambino da far crescere. E l’uomo con cui l’ha messo al mondo se ne va per un’altra strada. So che non sarà facile per lei, perché l’offesa e la violenza che sta subendo sono davvero grandi. Una cosa, però, è importante: la vita le chiede di non far cadere tutto questo peso sulle spalle di Andrea, il suo e vostro bambino.
Non sappiamo come procederà la sua storia. Forse fra un po’ vi ritroverete, lei e suo marito. O forse lei incontrerà un altro uomo. Chi può sapere oggi? Una cosa, però, vorrei che restasse davanti ai suoi occhi: Andrea ha bisogno di avere i suoi due genitori. E qualunque sarà la vostra storia, lui le chiederà sempre di non ostacolarlo nel ri-trovare suo padre. Anzi, avrà proprio bisogno del suo aiuto per farlo. Sono convinto che lei ci riuscirà: perché anche questa è la forza di una donna.
(3. fine)