5 set 2010
Fratelli nella fede?
Bentornati! Riprendiamo oggi i nostri incontri settimanali. Sta volta ci facciamo guidare dal calendario: questi sono giorni ‘caldi’ per alcuni dei nostri fratelli. I musulmani sono nel mese di Ramadàn. Gli ebrei celebrano due importanti festività: il Capodanno e, qualche giorno dopo, il Giorno dell’espiazione.
Spesso in chiesa, negli incontri di catechesi o nei gruppi di spiritualità, sentiamo l’espressione fratelli nella fede e la usiamo, di solito, per indicare i cattolici. A volte riusciamo ad ampliarne il significato, comprendendovi tutti i cristiani: cattolici, ortodossi delle varie chiese, protestanti delle diverse e numerose confessioni.
Oggi vorrei invitarvi ad aprire la nostra mente e provare a comprendere nel nostro campo visivo anche altri nostri fratelli nella fede. Perché, a mio parere, dovremmo proprio chiamarci così. Ma andiamo con calma.
I musulmani. Oggi e la settimana prossima proviamo ad incontrarli.
In Italia sono circa un milione duecentomila. Questi giorni termina per loro il mese di Ramadàn. Il mese del ‘calore ardente’ - questo è il significato etimologico della parola ramadàn (da ramed = riscaldare). Non nel senso che capita in agosto, ma ‘calore ardente’ in senso spirituale. (Il fatto che quest’anno capiti in agosto è una pura coincidenza, infatti. Dato che viene definito con l’anno lunare, può capitare in tutte le stagioni).
Questi ventotto giorni sono il periodo della purificazione per ogni musulmano. La sua sacralità nasce dal fatto che in questo mese “fu rivelato il Corano come guida per gli uomini” (2, 185). Il digiuno diurno del ramadàn è uno dei cinque pilastri della tradizione e della religiosità islamica.
Per comprendere, sia pure in parte, il significato di questo mese, possiamo fare riferimento ad un tempo particolare per noi cristiani: i quaranta giorni della quaresima. Origini e modalità sono diverse, ma i significati si possono avvicinare: sia il ramadàn dei musulmani che la quaresima dei cristiani sono ‘tempi forti’ in cui gli uomini sono chiamati a ritrovare la dimensione spirituale della vita.
Vorrei provare a riflettere con voi su quali sono i pensieri e gli atteggiamenti che noi, italiani ed europei del duemila, stiamo coltivando in rapporto ai musulmani.
A me sembra che sostanzialmente due pensieri abitano le nostre menti e guidano i nostri ragionamenti - di conseguenza, i nostri comportamenti. Ne parliamo, perché credo sia un buon indice di salute mentale cercare di essere sempre consapevoli dei pensieri che ci guidano nella vita, privata e pubblica.
Il primo pensiero fa riferimento al cosiddetto terrorismo islamico. L’altro si richiama al principio di reciprocità tra paesi islamici e paesi occidentali. Oggi proviamo a guardare il primo di questi pensieri, la settimana prossima entreremo nell’altro.
Se negli anni settanta in Italia ci siamo dovuti confrontare con il terrorismo dei gruppi extraparlamentari, rossi e neri, oggi il mondo deve misurarsi con una nuova forma di terrorismo: il cosiddetto terrorismo islamico. Dalle torri gemelle di nove anni fa a tutti gli attacchi che l’occidente ha dovuto subire. E che alcuni paesi stanno tuttora subendo…
Certo, questo è un dato di fatto. Il punto, però, è che il mondo occidentale - noi italiani compresi, compresi noi cristiani - sta costruendo una sorta di identificazione: islam = terrorismo. Di qui la conclusione: se l’islam è uguale a terrorismo, allora tutti i musulmani sono terroristi. Quindi tutti gli appartenenti a questa religione, a questa cultura, sono dei (potenziali) nemici.
Il punto, a mio parere, è che non ci rendiamo conto, così facendo, che perdiamo la capacità di vedere, nel credente musulmano, un essere umano. Un essere umano come noi. Credenti e non credenti. Ma, più ancora, non ci rendiamo conto che stiamo correndo un grosso pericolo: rischiamo anche noi, oggi, di cadere in quel modo di ragionare, terribile, che aveva portato all’aberrazione del fascismo e del nazismo a proposito degli ebrei: ogni ebreo era un nemico, quindi doveva essere annientato. Perché era un nemico? “Hier ist kein Warum” (= qui non c’è perché) era stata la risposta di una guardia ad un ebreo prigioniero di Auschwitz.
Stiamo svegli! Non c’è terrorismo ‘islamico’. Il terrorismo è terrorismo. Dargli una copertura religiosa, come fanno coloro che si richiamano al Corano per portare la morte contro altri uomini, è solo una bestemmia. E’ un tradimento della religione. Islam significa abbandono, sottomissione (alla volontà di Dio): chi uccide non fa la volontà di Dio.
Fratelli musulmani, forse il mondo ha bisogno di sentirvelo dire più forte: un vero musulmano non può essere un terrorista!
E noi, quando nell’altro non riusciamo più a vedere l’essere umano, ma lo guardiamo soltanto attraverso un’etichetta, perdiamo la capacità di ragionare, di riflettere. Le etichette sono come maschere, che mettiamo sul volto dell’altro. Possono essere le più diverse: la razza, il colore della pelle, il partito politico, la religione, perfino… la squadra di calcio. E quando guardiamo la maschera, non riusciamo più a vedere il volto umano.
Perdiamo la capacità di incontrarci e di riconoscerci come figli della stessa Vita. O, in altre parole, da credenti, come figli dello stesso Dio. Perché il punto è proprio questo: che noi Dio lo chiamiamo con nomi diversi, ma il Creatore del mondo è Uno soltanto. E nel Suo cuore non ci sono distinzioni tra i figli. “Dio non fa preferenze di persone, ma chi lo ama e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto” (Atti 10,34-35).
Per questo io penso che possiamo dirci fratelli nella fede. Senza il punto interrogativo. Perché figli dello stesso Dio. Anche se lo conosciamo e lo chiamiamo con nomi diversi.
(1. continua)