VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

26 set 2010

Ignoranti o ignoranti?

La lingua italiana è una delle lingue più ricche e più articolate, nei significati delle parole e nella finezza e sottigliezza delle differenze tra un termine e l’altro. Al punto che gli studiosi della lingua dicono che in italiano non esistono ‘veri sinonimi’ (= parole diverse che hanno lo stesso significato). Esistono invece parole che possono assumere significati diversi a seconda del contesto in cui le usiamo. Una di queste è proprio la parola che oggi fa da titolo a queste riflessioni: ignoranti.

Il suo significato autentico esprime la situazione di chi ‘ignora’ una determinata cosa. Una persona che ‘non sa’ può essere detta ‘ignorante’ rispetto all’oggetto del suo non sapere. Se chiedete a me come si procede per valutare la stabilità di un ponte o di una casa, io non ne so proprio niente: sono ignorante in questa materia. Un geometra, un ingegnere saprebbero rispondere con la necessaria competenza.

Questa parola, però, noi l’adoperiamo anche con un altro significato. Nel linguaggio quotidiano, quando diciamo che uno è ‘ignorante’, spesso intendiamo dire che è uno ‘poco di buono’. Una persona cattiva, non onesta. Uno che ‘ci marcia’, di cui è meglio non fidarsi, perché è male intenzionato, e potrebbe farci del male.

 

Date queste premesse, ora proviamo a fare insieme una riflessione sulle tante parole con cui hanno riempito la nostra estate gli uomini della politica: quelli nelle cui mani abbiamo messo il governo e la cura del nostro paese.

 

Quasi tutti i giorni ci siamo sentiti ripetere che in una democrazia la sovranità appartiene al popolo. Niente di più vero. La stessa parola, del resto, indica proprio questo. La parola democrazia, infatti, nasce dall’incontro di due parole della lingua greca: dèmos (= popolo) + kràtos (= potere, dominio). Sono parole che, insieme, dicono: “il potere appartiene al popolo”.

Ma come fa il popolo a esercitare questo potere? Tutte le democrazie si son dovute dare delle regole per definire come il popolo esercita il suo potere. Da Atene, nell’antica Grecia, una delle democrazie più antiche della storia, agli stati democratici moderni.

Anche l’Italia si è data delle regole. Queste sono scritte nella Costituzione. Proprio all’inizio, infatti, è scritto “L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione” (art. 1).

 

A scuola tutti abbiamo imparato che l’Italia è una Repubblica parlamentare. Ciò significa che il popolo sovrano elegge i suoi rappresentanti (= i membri del parlamento: deputati e senatori) e a questi affida l’esercizio della sovranità popolare. Questa norma è così chiara che qualsiasi governo, espressione della maggioranza degli italiani, ha bisogno di avere l’approvazione del parlamento per esercitare le sue funzioni, per esistere. Proprio perché è il parlamento che ha ricevuto in delega, dal popolo sovrano, il compito di rappresentarlo nell’esercizio della sua sovranità. Al punto che qualunque governo rimane in vita, e può e deve svolgere le sue funzioni, fino a quando il parlamento gli assicura la sua fiducia.

 

Ma non è il popolo che è sovrano? Non può il popolo decidere ‘direttamente’ a chi affidare il governo del paese? Sì, certo. Ma sempre nel rispetto delle regole che il popolo stesso si è dato: “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.

Ciò significa che non esiste una sovranità popolare al di fuori della legge.

 

E la nostra legge dice che c’è solo una categoria di eletti: i parlamentari. Eletti come membri del parlamento. Ed è al parlamento che il popolo delega il compito di scegliere a chi affidare il governo del paese. Non solo. Allo stato attuale, nessuna delle più alte cariche dello stato è eletta direttamente dal popolo. Il Presidente della Repubblica, i Presidenti dei due rami parlamentari, il Presidente del Consiglio. Tutti sono espressi dal parlamento, luogo in cui è collocata la sovranità popolare, esercitata nelle forme e nei limiti della Costituzione.

 

Non c’è nessuno, quindi, che in Italia può arrogarsi il diritto di appellarsi direttamente al popolo: non ci sono consacrati  acclamati. Se qualcuno volesse dire “Io sono stato eletto dal popolo, quindi comando io”, questo qualcuno direbbe una sciocchezza. Peggio: dice una cosa fuori-legge.

Fino a quando non decideremo di cambiare le regole del gioco (= le leggi), così è l’Italia. Che piaccia o no a certuni che vorrebbero ritenersi eletti dal popolo, quindi… eletti da Dio!

 

Quest’estate ne abbiamo sentite tante. Perfino politici che minacciavano, e minacciano, di ‘scendere in piazza’, quasi a voler cercare l’approvazione o la consacrazione della piazza. Senza neanche rendersi conto che, come minimo, ci dovremmo chiedere: quale piazza? Quella di Milano o Bologna dove un milione di cittadini manifesta in favore di quel politico, o a quella di Roma o Palermo dove un altro milione partecipa ad una manifestazione in senso contrario?

La nostra Piazza (= l’agorà della pòlis-Italia) è il parlamento. E solo quando il parlamento non sa esprimere un governo, dobbiamo ricorrere direttamente al popolo sovrano (= nuove elezioni).

In questo la Costituzione è chiarissima: “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.

 

Ma, allora, certi nostri politici sono ignoranti nel senso che ‘non conoscono’ la Costituzione, o sono ignoranti nel senso che se la vogliono girare come piace a loro, a loro uso e consumo?

Perché se non conoscono la Costituzione, ci vuole poco, basta che se la vanno a leggere e, magari, a farsela spiegare, se proprio non la capiscono. Se, invece, ce la vogliono raccontare come piace a loro, allora bisogna che siamo noi a svegliarci e a non farci ‘fregare’!

Che ne dite?