2 mag 2010
Le due anfore
C’era una volta un contadino che ogni giorno portava l’acqua dalla sorgente al villaggio. Riempiva due grosse anfore e le metteva sulla groppa dell’asino che gli trotterellava accanto.
Una delle anfore era vecchia e piena di fessure, e durante il viaggio perdeva acqua. L’altra, nuova e perfetta, conteneva la sua acqua, senza perderne neppure una goccia.
L’anfora vecchia e screpolata si sentiva umiliata, inutile. Tanto più che l’altra non perdeva occasione di far notare la sua efficienza e la sua perfezione: “Non perdo neanche una stilla d’acqua, io!”.
Un mattino, prima di partire per il solito viaggio, la vecchia anfora si confidò con il padrone: “Vedi, io so bene i miei limiti. Ogni giorno, quando arriviamo al villaggio, io sono mezza vuota. E tu, per colpa mia, sprechi tempo, fatica e soldi. Perdona la mia debolezza e le mie ferite”.
Il padrone non rispose.
Nel viaggio di ritorno, le si avvicinò: “Guarda sul bordo della strada” le disse. “Ma è bellissimo! Tutto pieno di fiori!” rispose la vecchia anfora. “Hai visto? E tutto questo grazie a te - disse il padrone - Sei tu che ogni giorno innaffi il bordo della strada. Io vi ho messo dei semi e tu, senza neanche saperlo, ogni giorno dai loro l’acqua per vivere!”.
La vecchia anfora non lo disse mai a nessuno, ma quel giorno si sentì morire dalla gioia.
E’ un vecchio racconto Zen.
Molte volte ci diciamo che oggi stiamo vivendo nella società dell’efficienza e della produttività. Il valore di una persona lo misuriamo sulla base della sua capacità di produrre. Produrre cosa? Produrre ricchezza. Nel senso di ‘fare soldi’.
Quante volte sentiamo la gente che ammira chi è capace di arricchirsi. Ad ogni costo. Chi “si è fatto da solo” diciamo. Perché chi si è fatto da solo è uno che “ci sa fare”.
Osserviamo bene quali sono gli uomini di successo. Nel mondo della politica, nel mondo della televisione, nel mondo del lavoro, perfino nel mondo delle religioni. Non ci capita di guardarli con ammirazione? Con invidia addirittura? Ci mettiamo ai loro piedi. Non ci accorgiamo neppure della loro arroganza quando ci dicono che loro sono i migliori: mai nessuno è stato più capace e più bravo di loro! Proprio come l’anfora efficiente e perfetta che non perdeva “neanche una stilla d’acqua”. E noi, incantati dal loro orgoglio, beviamo tutto quello che ci dicono. Come ipnotizzati dal loro fascino. Dalla loro perfezione.
Gli antichi greci avevano collocato i loro dèi sull’Olimpo. Ma avevano l’intelligenza di guardarli con occhi aperti e di accorgersi che, alla fine, anche quelli che si chiamavano dèi erano dei poveracci: ricchi di poteri che gli uomini comuni non avevano, ma altrettanto ‘ricchi’ (?) di tutti i difetti dei comuni mortali. Gelosie, invidie, tradimenti, inganni… guidavano il loro agire quotidiano.
Non sembra anche a voi che oggi ci siamo creati un nuovo Olimpo? Vi abbiamo collocato quelle persone che vantano efficienza e bravura. Pendiamo dalle loro labbra. Le ammiriamo. C’è però una differenza con quegli uomini di oltre duemila anni fa: noi, a differenza di loro, rischiamo di non accorgerci che questi nuovi dèi sono, anch’essi, dei poveracci. Ricchi di soldi e di parole, ma poveri di umanità. Incapaci di guardare gli altri se non come loro ‘sudditi’. Incapaci di accorgersi che in realtà siamo tutti fratelli, perché tutti apparteniamo alla specie umana. Figli della stessa natura. E, per chi si riconosce credente, figli dello stesso Padre.
“Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori” cantava Fabrizio De Andrè, un poeta che ci ha lasciati qualche anno fa. I fiori che abbelliscono la strada e l’addolciscono con il loro profumo non ci sarebbero se non ci fosse un’anfora che ‘perde acqua’.
Proviamo, allora, a guardare con affetto alle nostre screpolature. Alle nostre ferite. Proviamo a non averne paura. Riconoscere il nostro limite è la più grande ricchezza: è la ricchezza che ci rende capaci di accorgerci del vicino, capaci di vedere chi si trova nel bisogno. Gesù di Nazareth ha posto qui la discriminante tra chi è nella Vita e chi ne rimane fuori. E’ nella disponibilità a farci prossimi (= molto vicini) con chi sta peggio di noi.
La vecchiaia, la malattia, una disabilità, la poca cultura perché non abbiamo potuto studiare, un lavoro umile e di scarso prestigio sociale, un difetto fisico, le rughe che sembrano invadere il nostro volto, la stanchezza che si fa sentire tanto più velocemente quanto più crescono gli anni, i pochi soldi di cui disponiamo… tutto questo è grande ricchezza.
Perché uomo di valore non è chi ha il conto in banca più alto e si crede migliore di tutti gli altri. Uomo di valore è colui che è capace di riconoscere, accanto alle proprie qualità, anche il proprio limite. E’ chi, quando guarda gli altri, non li guarda per trovarsi ‘più bravo’, né vi vede dei servi da sfruttare, ma dei fratelli, coinquilini alla pari su questa nostra terra.