VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

17 ott 2010

L'oro o la sapienza?

Sono monotono, direte. E avete ragione. Lo stesso titolo della settimana scorsa. Però qualcosa ho cambiato: avevo scritto L’oro e la sapienza, oggi è L’oro o la sapienza? Una O al posto della E, e un punto interrogativo alla fine.

E’ una domanda triste, lo so. Il fatto è che è successa una cosa importante e come si fa a non rifletterci insieme?

 

Un ‘piccolo’ paese (neanche cinque milioni di abitanti), la Norvegia, ha avuto il coraggio di assegnare il Nobel per la Pace ad un uomo che ha trascorso una buona metà dei suoi cinquantaquattro anni nelle carceri del governo cinese. Dove tuttora sta scontando l’ultima condanna, a undici anni, per aver espresso il suo dissenso dalla politica, repressiva e indifferente ai più elementari diritti umani, che governa la Cina di oggi. La ‘grande’ Cina, da un miliardo e mezzo di abitanti. Liu Xiao Bo, questo è il suo nome. Un nome poco conosciuto per noi occidentali, ma non per questo meno importante.

 

Il governo cinese, naturalmente (!), si è subito precipitato a dire che un tale riconoscimento è “un’indecenza”. Non solo, sembra che abbia già messo in campo minacce di possibili ricatti, politici ed economici, nei confronti della Norvegia.

 

Certo, sembra fatto apposta, anche se in realtà è una coincidenza: proprio il giorno prima dell’assegnazione del Nobel, i nostri governanti avevano incontrato il premier cinese Wen Jiabao con tutti gli onori e tutto l’entusiasmo di chi sa che con la Cina si possono fare buoni affari.

Affari d’oro. Purché non si parli di diritti umani. E i nostri politici se ne sono ben guardati.

Ancora una volta quelli nelle cui mani sta il governo del paese, si sono mostrati con tutta la loro ‘dignità’ di politici coerenti con la loro scala di valori. Al primo posto sta l’economia: gli affari innanzitutto. E a qualunque costo.

 

Che importa se il prezzo da pagare è che il popolo cinese deve sottostare ad un governo che impedisce l’espressione delle libertà più elementari. Se la pena di morte è prassi corrente e viene eseguita nel silenzio più buio. Se la stampa e gli altri mezzi di comunicazione sono controllati e pilotati perché certe informazioni non devono essere date. Questi giorni, appena apparsa la notizia dell’assegnazione del Nobel ad un suo prigioniero politico, il governo ha oscurato internet e tutte le reti televisive occidentali. Niente libertà di pensiero, o libertà di parola, o libertà religiosa. La parola libertà è parola proibita, bandita dal vocabolario del cittadino cinese. Il governo di Pechino non ha neanche la dignità di riconoscere che da oltre cinquant’anni sta tenendo sotto occupazione militare un popolo e una nazione libera come il Tibet.

 

Eppure la Cina è ormai una delle maggiori potenze economiche mondiali.

Allora dovremmo chiederci perché questa contraddizione. Leader nell’economia e fra gli ultimi nel rispetto della libertà umana. Come se l’intelligenza, le capacità di lavoro, le risorse fisiche e mentali fossero tutte indirizzate soltanto a produrre beni materiali. Incapaci di guardare l’essere umano nella sua dignità di persona.

 

Forse, però, una riflessione analoga dovremmo farla anche in casa nostra. Diversi sono i contenuti, certo, ma credo sia necessario chiederci se quella ‘scala di valori’ che sostiene la Cina nelle sue contraddizioni, non sia poi piuttosto simile a quella che sempre più emerge nella nostra politica. Nella politica italiana e in quella di altri paesi occidentali. Pur di fare buoni affari con questa grande potenza economica, chiudiamo occhi, orecchi, naso, voce per non vedere, non sentire e non dire di fronte al fatto che i diritti umani sono ignorati e continuamente calpestati. I diritti degli uomini, i diritti di un popolo.

 

Il Nobel per la pace è stato assegnato ad un uomo, prigioniero politico, “per la sua lunga e non violenta battaglia in favore dei diritti umani fondamentali in Cina. Questo Comitato (= che assegna i Nobel) ritiene da tempo che ci sia uno stretto legame tra i diritti umani e la pace. Tali diritti sono un prerequisito per la fratellanza fra le nazioni della quale Alfred Nobel scrisse nel suo testamento”.

 

Io penso che questo Nobel è una buona occasione per farci interrogare sulla nostra scala di valori. Riflettevamo la settimana scorsa sulle parole di Socrate a proposito dell’oro della sapienza. Io temo che se non apriamo bene gli occhi, ci lasciamo catturare dall’oro e basta. Oro che si chiama produzione, affari e interesse privato. A qualunque costo.

 

Liu Xiao Bo, da solo, può soltanto continuare a mettere in gioco sé stesso e la sua vita per i valori in cui crede. Ma la battaglia per la libertà e la pace fra i popoli ha bisogno del sostegno e della condivisione del mondo. Del mondo della politica, del mondo dell’economia e, non ultimo, anche del mondo delle religioni.

In fine, poi, io credo che quest’uomo coraggioso, disposto a pagare con la sua vita per un ideale, chiede anche la solidarietà e la condivisione di ciascuno di noi che, nel nostro piccolo, siamo come tante gocce d’acqua che insieme formano il mare. Il mare del cambiamento e della speranza.