VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

20 giu 2010

Quando la realtà supera la fantasia!

Un nuovo Dio?

Era un giovedì di fine maggio. Quel giorno la radio e la tv, in mezzo alle tante notizie di cui quotidianamente ci lasciamo nutrire, ci raccontano che…

 

Nella lontana Cina, in una grande fabbrica di componenti elettronici – una di quelle in cui si costruiscono i nostri supertelefonini e i nostri computer – si sta verificando un fenomeno preoccupante: si moltiplicando i suicidi tra i lavoratori. Di fronte a un fatto così serio, chiunque di noi, con un po’ di buon senso e un minimo di sensibilità umana, si chiederebbe com’è che tanti dipendenti di quella fabbrica decidono di togliersi la vita. Condizioni di lavoro? Orari? Stress? Ritmo di vita insostenibile?

Niente di tutto questo.

Sapete qual è stata la ‘soluzione’ che ha escogitato la direzione aziendale? Se non avete una spiccata fantasia, ma proprio una fantasia oltre misura, non indovinerete mai. Tutti i dipendenti devono sottoscrivere l’impegno a non suicidarsi. Proprio così. La decisione della direzione è stata di chiedere ai dipendenti l’impegno a non suicidarsi. Non soddisfatti da tanta ingegnosità, pare che tale impegno debba essere accompagnato da una clausola in cui i familiari s’impegnano, a loro volta, qualora il dipendente non dovesse mantenere la sua ‘parola’, a non chiedere nessun risarcimento all’azienda.

Consapevoli, forse, della serietà del problema, i dirigenti si sono affrettati anche a dare una spiegazione a tale fenomeno. Presto trovata: è colpa della debolezza emotiva di coloro che si tolgono la vita. Come dire che un lavoratore che si suicida, lo fa perché è ‘mentalmente debole’. Se diversi lavoratori si suicidano, questo avviene perché questi lavoratori sono mentalmente deboli.

Strano. Chi sa, forse tutti i lavoratori emotivamente deboli si stanno accordando per andare a lavorare proprio in questa grande azienda!

 

Lo so che c’è poco da ridere.

Anzi, in cuor mio mi auguro che questa notizia sia una bufala, tanto mi sembra inverosimile. Ma i giornali ce la davano per vera.

E se vera lo fosse? Se davvero lo fosse, mi chiedo come si fa a non accorgersi della mancanza totale di un minimo di sensibilità umana. Né saprei dire se sono più la cecità e la durezza di cuore o piuttosto la stupidità a guidare le menti di quei dirigenti.

O forse è una scala di valori nella quale faccio fatica a riconoscermi. E, onestamente, mi auguro che la facciate anche voi.

 

Eppure la Cina vuole presentarsi al mondo come una società moderna. Una società dove regnano il benessere e la giustizia. Il governo cinese si considera l’erede della rivoluzione popolare di Mao. Si considera un governo ‘comunista’. Al di là delle aberrazioni storiche del comunismo reale, gli ideali che tale pensiero voleva portare suonavano dignità e uguaglianza tra gli esseri umani. Chi sa cosa ne direbbe il povero Marx. Tra lavoratori e capitale (= interessi economici) sembra piuttosto chiaro a chi spetta la precedenza. Anzi, a chi spetta il dovere di sacrificarsi all’altro.

 

Mi chiedo proprio dov’è finita la grande Cina. Quella di Confucio, di Lao-Tse, la Cina del Tao e della saggezza che nei millenni ha saputo costruire e offrire al resto del mondo.

 

Ma il mondo sembra aver dimenticato. Ora la Cina è diventata una grande potenza (economica). Tutti i paesi del mondo si affannano a tessere relazioni economiche con questo nuovo partner per trarne il maggior profitto possibile. Chi guarda più al popolo cinese, tanto grande e numeroso, costretto a vivere privo dei più elementari diritti umani? Pena di morte, condizioni di lavoro disumane, vita familiare stravolta da leggi che pretendono perfino di fissare il numero dei figli e se un figlio deve nascere oppure no, a seconda se maschio o femmina. Un popolo costretto a piegarsi alla religione del profitto.

Sono proprio questi, il profitto e il guadagno ad ogni costo, i valori che sembrano guidare le relazioni internazionali con il governo cinese. Cinquant’anni fa l’esercito cinese ha invaso un’altra nazione, il Tibet, e tuttora l’invasione continua, sia militarmente che socialmente. Ma chi ci pensa più al popolo tibetano? Quale governo occidentale si premura di riaprire la questione? Perfino le grandi religioni, sotto la paura del ricatto, tacciono.

 

Direte: ma noi, grazie a Dio, non viviamo in Cina! E’ vero, non viviamo in Cina. E la Cina è piuttosto lontana nella geografia del pianeta. Mi chiedo, però, se non sembra anche a voi che un po’ di questa Cina la ritroviamo anche a casa nostra. E non mi riferisco soltanto a quelle minoranze di cinesi che pure vivono in Italia e si trovano costretti a ritmi di lavoro e a condizioni di vita che non possiamo non definire ‘da schiavi’.

 

Mi riferisco anche a quei valori che guidano le scelte del nostro quotidiano. Se non restiamo svegli, anche noi ci ritroviamo a vivere guidati unicamente dalla ricerca del benessere economico. Ad esso, quasi un nuovo dio, stiamo rischiando di sacrificare perfino gli affetti familiari.

Ci facciamo un esempio? In tante famiglie, anche giovani, si sta verificando questo fenomeno. L’uomo sceglie di fare il doppio lavoro, così guadagna di più. Ma torna a casa la sera dopo le otto o le nove. E’ sempre più assente dalla vita dei figli e da un tempo condiviso con la propria compagna di vita. Poi ci accorgiamo che la vita familiare va in crisi. Però abbiamo più soldi, ci possiamo comprare una macchina più bella, un telefonino ultima generazione, i vestiti firmati.

 

E gli affetti? Chi sa, forse dovremmo cominciare a prenderci l’impegno a non… ‘suicidarli’!