18 gen 2008
Lettera al Direttore di Voce della Vallesina
Il papa, l'università e... il Dalai Lama
Solidarietà al Papa per il mancato incontro all’Università di Roma? Certo. Magari non servono tante manifestazioni di piazza, a mio parere, ma certo è civile e umano esprimere vicinanza a chi ha subito un torto o un’offesa, soprattutto quando questo non è provocato da comportamenti sbagliati o irrispettosi. L’università, luogo per eccellenza di cultura e di dialogo tra culture, non ci ha offerto una bella immagine di sé. Né ce l’ha offerta la nostra democrazia.
Questo fatto mi ha ricordato un episodio analogo, e l’occasione mi permette di esprimere, sia pure con un po’ di ritardo, la medesima solidarietà e vicinanza ad un altro uomo, anch’egli guida spirituale per tanta parte dell’umanità. Nello stesso tempo mi fa riflettere e mi spinge ad invitare me stesso e gli altri credenti che si riconoscono nel Vangelo a ritrovare un po’ di silenzio e a compiere un gesto di umiltà nel riconoscere anche i limiti e i torti che, come chiesa, ci appartengono.
Un mese fa, il 13 e 14 dicembre, si è svolto a Roma l’ottavo summit dei Nobel per la pace. Tra questi c’era anche il Dalai Lama, un uomo che, con linguaggio giornalistico e non certo teologico, potremmo dire ‘il Papa’ dei buddisti tibetani. Era stato annunciato che Sua Santità Benedetto XVI avrebbe incontrato il suo ‘collega’ - mi si passi questa parola da uomo della strada - e confratello, Sua Santità il Dalai Lama. Poi, però, una successiva dichiarazione ha fatto sapere che tale incontro “non era in agenda”. E l’incontro non c’è stato. Le ragioni politiche hanno prevalso sulle ragioni di umanità - intesa come rispetto e solidarietà tra gli umani. La guida spirituale della nostra chiesa ha ceduto al ricatto del governo cinese.
Qualcuno dirà: cosa c’entra la Cina? Forse abbiamo dimenticato, ma sono già cinquanta anni che la Repubblica Popolare Cinese ha invaso il Tibet, anche militarmente, portandovi morte e distruzione. Tibetani uccisi, monasteri distrutti, monaci imprigionati o passati per le armi o fuggiti in esilio insieme a tanti altri cittadini. Anche il Dalai Lama, come tanti altri tibetani, è costretto a vivere in esilio, fuori dalla sua nazione e lontano dal suo popolo.
Quando, appunto un mese fa, era in Italia, né il governo, né il capo dello stato, né il parlamento hanno avuto il coraggio di incontrarlo (se si esclude l’incontro in una saletta di Montecitorio - non nell’aula parlamentare, si badi bene - e l’incontro con qualche sindaco più illuminato). Ma, tant’è, conosciamo bene quanto la politica sia condizionata dagli interessi economici. Altrettanto bene sappiamo come i ricatti della Cina, sul piano economico, stanno facendo saltare ogni attenzione alla politica cinese nell’area dei diritti civili, da parte di tutte le nazioni che si dicono democratiche e paladine della libertà. Prigionieri politici, pena di morte, aborto selettivo per le bambine (così, facendo nascere meno bambine, la popolazione non aumenta troppo)… sono solo alcuni dei ‘diritti civili’ che il governo della Repubblica Popolare Cinese si permette di ‘rispettare’ di fronte al mondo occidentale che guarda a questo grande paese unicamente come a un grande mercato con cui interagire e attraverso il quale arricchirsi.
Dicevo, con amarezza, che dai politici italiani forse non dovevamo aspettarci chi sa quale atto di coraggio (anche se credo che, invece, se diventassimo più esigenti nei loro confronti, le cose in Italia potrebbero andare un po’ meglio). Ma che anche la chiesa, nella figura della sua prima guida spirituale, il Papa, abbia scelto di cedere ai ricatti/minacce del governo cinese al punto da cancellare dall’agenda l’incontro con il Dalai Lama, guida spirituale di un popolo oppresso e di un grande movimento religioso mondiale come il buddismo… questo non mi sento di condividerlo. Mi è difficile non pensare che questa volta la ‘ragion di stato’, pur con tutte le sue giustificazioni, ha prevalso sulle ragioni del Vangelo.
Così come è altrettanto difficile, naturalmente, non pensare che la presa di posizione di quei sessantasette professori della Sapienza che hanno contestato l’invito al Papa sia stata guidata più da preclusioni ideologiche che dall’apertura al dialogo e dalla ricerca della verità senza preconcetti, come dovrebbe essere per un’università e per i suoi docenti.
Tutta la mia solidarietà, dunque, a Papa Benedetto per il mancato incontro con l’università di Roma; la medesima solidarietà al Dalai Lama, e a tutto il popolo tibetano, per il mancato incontro con il Papa.
Grazie per l’ospitalità.
(Federico Cardinali)