3 mag 2012
Silvia Vegetti Finzi
Presentazione
Già il titolo, LA MENTE E L’ANIMA. Tappe di un viaggio tra psicologia e spiritualità, dichiara la fede che lo ispira, la tensione morale che lo anima, la comunione d’ideali e di affetti in cui si realizza. Il suo autore, Federico Cardinali, offre alla condivisione dei lettori un itinerario di saggezza, conoscenza ed esperienza davvero eccezionale. La sua parola non risuona generica e impersonale ma si rivolge al singolo interlocutore, al suo essere unico e insostituibile, nella convinzione che proprio nel particolare risieda il significato universale della nostra vita.
Per evitare di salire in cattedra, di porsi come colui che sa rispetto a chi non sa, di dare risposte autoritarie e definitive, Cardinali espone innanzitutto le convinzioni teoriche che orientano la sua azione terapeutica e la sua comunicazione epistolare.
Egli distingue nell’uomo tre dimensioni: biologica, psicologica e spirituale. La prima, che corrisponde al corpo, è diventata sin troppo centrale, al punto che l’apparire tende a sostituire l’essere. La seconda, che riguarda la mente, indica quel connubio tra pensieri e affetti, convinzioni ed emozioni che orienta, anche quando non ne siamo consapevoli, la nostra vita. La terza infine, che rinvia all’anima, recupera una componente che il razionalismo scientifico non riconosce ma che per secoli ha costituito il fulcro dell’identità umana.
In proposito il libro apre un confronto tra filosofia e teologia da una parte e scienza dall’altra, attraverso un serrato dialogo condiviso con i lettori.
L’anima, come viene definita dall’Autore, che riprende la concezione classica greca, è anzitutto “vita” nel senso più generale del termine, insieme degli esseri viventi, del creato, ma è anche tensione dell’individuo verso un altrove che lo trascende.
Una dimensione che trasforma la mera vita in vera vita, promessa di eternità, di verità, di giustizia e di bene.
Questa mèta, così come la indica Cardinali, non è necessariamente religiosa nel senso teologico o istituzionale del termine, non appartiene soltanto al popolo dei credenti, ma è costitutiva dell’umanità stessa, del suo collocarsi, come sostiene Aristotele, tra gli animali e Dio. Si potrebbe osservare che, nel quadro teorico qui delineato, manca la prospettiva sociale ma, come il lettore avrà modo di costatare, essa compare puntualmente nel corso degli articoli e degli scambi epistolari situandoli nel nostro tempo senza tuttavia renderli contingenti e caduchi perché i problemi che affrontano, considerati dal vertice della spiritualità, divengono necessari e perenni. Mentre la speranza, e per alcuni la fede, ci aiutano ad affrontarli e superarli.
Il primo articolo del libro Il corpo, la mente, l’anima, si apre significativamente con il riconoscimento che la conoscenza di noi stessi e degli altri è indispensabile e al tempo stesso inesauribile. Si tratta di un ambito così complesso che nessuna formula lo può sintetizzare, nessun sistema esaurire. Ogni vertice da cui lo si esamina comporta di scorgere una parte del tutto ma l’insieme resta una mèta da raggiungere, uno scopo da perseguire. Ma proprio il riconoscimento del limite ci consente di evitare l’onnipotenza del sapere assoluto, della cura salvifica, della verità indiscutibile.
Coerentemente con le sue premesse, questo libro si presenta come un viaggio, un viaggio da affrontare insieme dove il percorso conta più dell’approdo, la condivisione, intellettuale ed emotiva, più della guida e la domanda prevale sulla risposta.
La stella polare che orienta l’impresa è quella della verità, nella convinzione, tipicamente socratica, che il vero e il bene coincidano e che la conoscenza reciproca di se stessi e degli altri sia sempre terapeutica.
Ma accanto al desiderio di sapere esiste un desiderio di non sapere che ci suggerisce le vie di fuga della rimozione, della negazione, dell’illusione, della menzogna. Proprio per questa umana debolezza la via del vero prende le mosse dalla sofferenza, dal malessere, dal disagio, squilibri che infrangono l’illusione di bastare a se stessi. Tuttavia non credo che il dolore sia di per se stesso portatore di verità e di bene. Soltanto se viene riconosciuto, accettato ed elaborato nella mente e nel cuore diviene tale.
La mente immatura del neonato cerca di risolvere gli stati di malessere scaricando la tensione con l’agitazione degli arti, con i movimenti scoordinati del corpo. Ci vuole una certa maturità perché subentri il pensiero, perché la mente si incarichi di trovare soluzioni più valide e durature. Ma questa capacità non è mai raggiunta una volta per tutte. Può sempre accadere che emozioni negative, come la paura, la collera, l’odio, l’invidia e la gelosia imbocchino vie di scarico facili ed immediate aggredendo l’altro, violentandolo nel corpo e nell’anima.
Per uscire da questo circuito il modo migliore è chiedere aiuto e conforto, aprire uno spazio di condivisione.
Vi sono vari modi per ascoltare i quesiti esistenziali suscitati dalla sofferenza ma non bisogna confonderli perché, come dimostra Cardinali a proposito della confessione e della psicoterapia, differenti sono i metodi che usano e i fini che perseguono. A colui che pone la domanda, la psicoanalisi, che Cardinali conosce e applica con sapienza e competenza, risponde aprendo uno spazio di dialogo dove “lavorare” insieme costituisce la prima risposta. Un lavoro che presuppone uno scambio di affetti, un transfert reciproco, capace di rendere incisiva la verità e possibile il cambiamento.
Certo, la comunicazione epistolare condotta attraverso le pagine di un giornale non equivale all’esperienza psicoterapeutica vera e propria. Manca la pregnanza dell’incontro diretto, il tempo per ricostruire la propria storia, la pazienza di smantellare le difese narcisistiche, la sicurezza che deriva dal procedere insieme.
Ma in certi casi, come questo, ne conserva i presupposti: chi risponde si mette in gioco in prima persona, per quello che è, non per il ruolo istituzionale che svolge. Sa che le sue parole non sono magiche e non saranno risolutive ma cerca di mettere in moto, in chi legge, un processo di riflessione e di consapevolezza, di recuperare risorse sconosciute e potenzialità inesplorate. In fondo, come sanno i medici migliori, la guarigione spetta sempre al paziente. Il terapeuta può indurla, sostenerla, propiziarla, ma non imporla. In ogni frangente, anche nella corrispondenza epistolare, va rispettata la volontà dell’interlocutore, che può accettare o respingere quanto gli viene comunicato. In ogni caso avrà il beneficio di essere stato ascoltato.
La lettera che inaugura la corrispondenza raccolta in questo libro è per certi versi emblematica. Scritta da una giovane donna, affronta un problema centrale nella riflessione di Cardinali: il senso e il significato della morte, e quindi della vita.
Nessuno, come sostiene Freud, può davvero conoscere la propria morte prima di morire perché l’inconscio, che si sottrae al tempo, coglie il “mai più” soltanto di fronte al decesso delle persone care.
Ma l’angoscia, che non mente mai, viene considerata da Cardinali un flusso vitale, una forza che terapeuticamente prende dentro di sé, e insieme al paziente elabora, allo scopo di sottrarla alla dispersione e orientarla verso la spiritualità. Una dimensione che ci contiene e ci attraversa.
L’importante è tenere aperta la domanda e restare “nella ricerca”, sfuggendo alla tentazione di stordirci sino a smarrirci. Come canta il grande poeta greco Costantino Kavafis a proposito della vita: “Non la svilire a furia di recarla / così sovente in giro, e con l’esporla / alla dissennatezza quotidiana / di commerci e rapporti, / sin che divenga straniera”.
Il fine che Cardinali si propone, e che propone ai lettori, è proprio quello di restituire a ciascuno il governo della sua vita, di responsabilizzarlo nei confronti del destino, senza tuttavia indottrinarlo: semplicemente aprendolo al dialogo, un’esperienza dove l’Io si conosce attraverso l’altro e si afferma, senza pre-giudizi, nel rispecchiamento reciproco. Una prospettiva che vediamo realizzata nella lettera intitolata Il piccolo grande maestro, dove il nipotino malato offre al nonno, attraverso la condivisione della sofferenza, la possibilità di riportare in patria una vita “divenuta straniera”.
Il rapporto di parentela che li lega non è casuale perché è nella famiglia, nella sua storia e nella sua attualità, che affondano le nostre radici. Solo nella famiglia noi siamo sempre “qualcuno per qualcuno”. Ed ecco che la geometria di questo libro si apre, a cerchi concentrici, dall’individuo allo scambio reciproco, dall’io e te alla famiglia, l’unico luogo in cui s’incontrano tutte le generazioni.
Nel procedere degli articoli, gli interrogativi si susseguono a catena, evocati gli uni dagli altri, dal momento che nessuno possiede la risposta definitiva, la verità assoluta che interrompe la ricerca e spegne la parola. In questo senso è esemplare la riflessione che si svolge sotto il titolo Eluana: una domanda aperta, successivamente ripresa da La parola e il silenzio, dove emerge, in modo quanto mai persuasivo, il valore del silenzio meditativo, del dialogo interiore: dell’anima.
Come ho premesso, questo libro si svolge per cerchi sempre più ampi sino ad abbracciare l’intero corso della vita ed offrire, a chi si confida, il sapere e la saggezza che l’Autore ha raggiunto nel suo essere al tempo stesso prete e psicoterapeuta, indagatore dell’animo e dell’anima. Con la consapevolezza che dubbi, incertezze ed eventuali contraddizioni fanno parte della conoscenza umana e ne indicano, al tempo stesso, il limite e l’apertura.
Infine nel dialogo con una paziente “offesa” da una medicina tecnicistica, incapace di scorgere al di là del sintomo il malato, Cardinali sintetizza così la sua posizione: “Prendersi cura significa prima di tutto ascoltare il dolore, la sofferenza e la paura... Significa saper ascoltare la persona intera, con le sue paure e i suoi progetti”. Come accade tra mamma e bambino, quando comunicano col battito dei loro cuori.
Silvia Vegetti Finzi è Psicologa clinica e scrittrice