VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

27 feb 2011

Adozioni: una casa per un figlio (1)

Questi giorni stampa e tv ci hanno parlato di adozione. L’occasione ci è stata offerta da una dichiarazione della Cassazione che ha convalidato un decreto della Corte d'Appello di Genova che riconosceva l’adozione di una bambina da parte di una mamma single. Ma la Cassazione è andata oltre ed ha invitato il Parlamento a prendere in considerazione “un ampliamento” nella regolamentazione della possibilità di adottare, nel senso pieno del termine, anche da parte di persone che vivono sole e non sono sposate.

Naturalmente ci sono state prese di posizione molto diverse. Da chi si è dichiarato assolutamente favorevole, a chi del tutto contrario. Con posizioni intermedie e più aperte al confronto. Vorrei provare oggi, con voi, a ragionare su questo tema, cercando di mettere sul tavolo alcune riflessioni che possono guidarci nel farci un’opinione.

 

Intanto ricordiamo che parliamo di adozione quando un bambino (la legge usa il termine ‘minore’, cioè minorenne) viene accolto come figlio in una famiglia che non è la sua famiglia naturale. Così, anche di fronte alla legge, figlio e genitori adottivi acquisiscono tutti i diritti e i doveri che definiscono la relazione genitori-figli.

 

Qual è il senso dell’adozione? Perché, cioè, degli adulti decidono di adottare un bambino?

Di solito questa decisione nasce dal desiderio di avere un figlio. Una coppia che non riesce ad avere figli, perché lui o lei hanno problemi d’infertilità, si rivolge ad un consultorio per attivare la procedura prevista perché il Tribunale per i Minorenni li riconosca idonei ad adottare un bambino in stato di abbandono.

Ora l’ipotesi che stiamo considerando è quella di riconoscere anche a chi è single, uomo o donna, la possibilità di adottare un figlio. È giusto? È sbagliato? Come fare per dare una risposta, che non sia superficiale, a questa domanda?

 

Secondo me dobbiamo partire da un’altra domanda. Viene prima il bambino o viene prima l’adulto? In altre parole: è il bisogno dell’adulto di avere un figlio che deve essere ascoltato per primo o, prima ancora, è il bisogno di un bambino di avere una famiglia che deve essere accolto?

So che non è una domanda facile. So anche che mi direte che tutti e due questi bisogni vanno ascoltati. Sì, certo. Ma chiederci quale viene prima e cercare di costruire una risposta è la strada maestra per parlare, in modo serio e non superficiale, di adozioni.

 

Se ci fermiamo a riflettere, riusciremo a vedere abbastanza facilmente che è un bambino che ha diritto ad avere una famiglia. Non siamo noi adulti che abbiamo diritto ad avere dei figli. È così. Pensiamoci bene.

 

Un bambino è in una posizione di maggiore debolezza e di maggiore fragilità rispetto all’adulto. Un bambino ha un bisogno assoluto di avere degli adulti che si prendano cura di lui per crescere in modo sano. Di adulti che lo proteggano, che gli insegnino certe regole di vita, che gli trasmettano valori che danno senso alla vita stessa. Un bambino solo come potrebbe vivere? Chi gli dà da mangiare, da vestire? Chi lo segue per la scuola, chi si prende cura della sua salute? Pensiamo a quanto, come genitori, abbiamo fatto o stiamo facendo per i nostri figli e ci renderemo subito conto che un bambino non può fare a meno di avere dei genitori.

Un adulto, invece, può vivere anche se non ha figli. Magari ne sentirà la mancanza, certo. Ne soffrirà. Ma non è in condizioni di non poter portare avanti la sua vita se la sua situazione gli impedisce di diventare genitore.

Non è così?

 

Nel mio lavoro ho incontrato e incontro tante coppie che non potevano, non possono, avere figli. Perché lui o lei hanno problemi d’infertilità. (A proposito, non facciamo finta di dimenticarci che problemi d’infertilità appartengono sia alle donne che agli uomini. Detto fra noi maschietti: non facciamo fare mille esami alla nostra compagna senza mettere neanche in discussione che anche noi dovremmo fare gli accertamenti necessari quando i figli ‘non vengono’. Ma magari ne riparliamo in un’altra occasione). E tante volte mi sono sentito dire parole di questo genere: “La nostra vita non ha senso senza figli. Non siamo una famiglia…”.

Beh, facciamo attenzione. Un figlio che deve venire per ‘dare senso’ alla vita di una coppia - naturale o adottivo che sia - nasce con un bel carico. Perché è un po’ come se mettessimo sulle sue spalle un compito che non gli appartiene: riempire di senso e di significato la vita di due adulti e la stessa relazione di coppia. Con questo non voglio certo dire che il desiderio di un figlio non sia un desiderio sano e bello. Certo che lo è. Ma non al punto che senza di lui noi non siamo più niente!

 

Bene. Oggi ci fermiamo qui. E ci fermiamo con questo punto. Se normalmente si dice che si fa un’adozione perché così due persone che non possono avere figli riescono finalmente a diventare genitori, proviamo a rivedere questo nostro pensiero. E ad ampliarlo. Proviamo a dirci, cioè, che adottare significa, innanzi tutto, dare una famiglia ad un bambino. Aprire la nostra casa ad un bambino che ne ha bisogno. Perché un bambino ha diritto ad avere una famiglia. E quando non può vivere con i genitori che l’hanno messo al mondo, ha assoluto bisogno che qualcuno gli apra la sua casa, lo prenda con sé. Se ci pensate, è proprio questo pensiero, sano e civile, che porta verso una scelta adottiva anche famiglie che hanno già figli propri.

 

La prossima settimana ripartiremo da qui. E riprenderemo la nostra domanda sull’opportunità di riconoscere l’idoneità all’adozione non soltanto ad una coppia sposata, ma anche ad una persona che vive sola.

(1. continua)