20 mar 2011
E se non ora, quando?
«Se io non sono per me, chi è per me?
E quando io sono per me stesso, chi sono io?
E se non ora, quando?»
Sono parole che un maestro ebreo contemporaneo di Gesù, Hillèl, dice ai suoi discepoli. Le ritroviamo in un’antica raccolta, del 2°-3° secolo, Pirqé Avòt (= ‘Lezioni dei Padri’, in ebraico).
Ogni anno, in un giorno di lutto come l’8 marzo, ci ritroviamo a riflettere su come stiamo vivendo, uomini e donne. E a chiederci a che punto siamo.
È vero, forse la maggioranza di noi avrà esaurito questo giorno con un rametto di mimose. Ma non può essere questo che ferma i nostri pensieri. Né la nostra speranza.
Quest’anno, infatti, una scia di luce ci accompagna. E mi piace ritornarci con voi a guardarla.
Una bella luce abbiamo visto il 13 febbraio levarsi su un orizzonte offuscato, in questa nostra Italia che cerca di festeggiare il suo compleanno. Un’Italia appesantita da coloro che, chiamati a governare una nazione, vorrebbero farci mangiare una torta di compleanno, bella fuori, ma indigeribile dentro. Come la mela di Biancaneve. Anch’essi, come la strega cattiva, in dialogo continuo con lo specchio magico che si ostina a non volerli riconoscere come “i più belli del reame”. E non certo per l’età avanzata che ne segna il viso e scolora i capelli, ma semplicemente perché hanno dimenticato che governare un popolo significa essere al suo servizio e non considerare i cittadini come sudditi, servi di un padrone che si ritiene al di sopra di tutto e di tutti.
Dal 13 febbraio all’8 marzo. Il viaggio è iniziato. Ma arrivare a destinazione dipende da noi viaggiatori. Dalla capacità di resistere a non mangiare la ‘mela avvelenata’ che continuamente ci propongono con il loro servizio-mensa.
E quando lo sconforto si avvicina perché ci sembra di vedere che le cose non cambiano e tutto sembra andare per il verso sbagliato, proviamo a ricordare che serve poco lievito per fermentare una grande massa. Lo sapevano bene le nostre nonne, quelle che facevano il pane in casa. E loro la sapevano lunga!
Ce n’è ancora di strada da fare, tra uomini e donne. Ma ritrovarci insieme per riscoprire valori condivisi è senz’altro un bel passo. Sa di buono. Alimenta la speranza. Uomini e donne, insieme, sulla stessa strada. E non contro qualcuno, ma nella costruzione del rispetto che ciascuno ha bisogno di ritrovare in sé stesso e nell’altro. Verso sé stesso e verso l’altro.
Nella riscoperta della differenza. Che non è contrapposizione, né conflitto - che sono le radici dello sfruttamento: del più debole da parte del più forte, della donna da parte dell’uomo.
«Se io non sono per me, chi è per me?» diceva il maestro Hillèl.
Il 13 febbraio ha visto insieme donne e uomini, scesi in piazza per condividere il desiderio di ritrovarsi. Di ritrovare la dignità e il rispetto reciproco, per uscire dall’umiliazione che uomini del potere impongono a chi non ha né potere né soldi, e si lascia accalappiare da promesse e luccichii pieni di vuoto.
Non donne soltanto, ma donne e uomini, di sinistra e di destra, giovani e meno giovani, istruiti e meno istruiti. Tutti e tutte in una ricerca condivisa. Nel desiderio di ritrovarsi.
L’8 marzo è un giorno di lutto, dicevo. Esso è nato sulla morte di più di cento donne, chiuse in fabbrica. Più di cento anni fa.
È vero, oggi una parte di noi l’ha ridotto a qualche cena fuori casa fra amiche. Oppure, addirittura, l’ha umiliato con spettacoli di dubbio gusto ‘per sole donne’. Ma non sono tutte le donne né tutti gli uomini a vivere quest’aria inquinata che certa classe dirigente vorrebbe farci respirare, vendendocela per buona.
Guardiamoci intorno. Vedremo che la maggior parte di noi sa ancora esprimere il desiderio di vivere. E di ritrovarsi. Perché «se io non sono per me, chi è per me?».
Non certo chi ha tutt’altro interesse che ascoltare la voce di chi cerca di coltivare relazioni costruite sulla dignità e il rispetto. Di chi sa che è soltanto se cerco di ritrovare me stesso che posso ritrovare l’altro. Perché soltanto questa ricerca mi permette di scoprire la ricchezza della differenza che ci lega, insieme, donne e uomini.
Ora il tempo è maturo. Certo, è sempre in agguato il pericolo di addormentarci, di non accorgerci che se non è il nostro lievito a fermentare la massa, sarà il lievito dello sfruttamento e dell’umiliazione.
Non so cosa ne pensate. Ma a me piacerebbe molto che nelle nostre case mettessimo un foglietto - avete presenti quei bigliettini che attacchiamo al frigo o in qualche altro luogo della casa, bene in vista, per ricordarci una cosa che dobbiamo fare o ciò che dobbiamo comprare? - bene, mettiamone uno sul quale scriviamo le parole di Hillèl: «E SE NON ORA, QUANDO?».
Noi l’abbiamo messo. Un po’ più grosso dei soliti bigliettini, in modo che anche i miei occhi miopi possono leggerlo da lontano.
Per ricordare!