9 ott 2011
Gli ultimi della terra
La scuola è maestra di vita, si diceva un tempo. E forse abbiamo proprio bisogno di recuperare questo pensiero, perché maestra di vita lo è tuttora. Nel bene. Ma anche nel male.
Le cronache di questi giorni ci hanno riportato ancora un brutto episodio. Ne parliamo, senza dimenticare naturalmente che, se è vero che ‘fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce’, sappiamo bene che sono proprio le cattive notizie che fanno rumore, mentre tutto ciò che fa onore alla scuola e a chi ci lavora passa, troppo spesso, inosservato.
Ma a questa storia ritengo che non possiamo passarci sopra.
In una classe hanno fatto la foto di gruppo con tutti i bambini e gli insegnanti. Ma di foto ne hanno fatte due: una con tutti gli alunni, compresa una bambina affetta da sindrome di Down (la chiamiamo Maria Cristina); l’altra con tutti gli alunni, meno lei. Alla famiglia di Maria Cristina hanno dato, naturalmente, la prima foto. A tutte le altre la seconda. Nessuno si era accorto che nella seconda foto, quella ‘ufficiale’, non c’era Maria Cristina. Nessuno, salvo un bambino: è lui che l’ha detto alle maestre. Così, poi, se ne sono accorti anche i grandi.
Sembra impossibile, in pieno XXI secolo! Ma forse dovremmo dirci che siamo ancora dentro l’idea che un bambino con qualche disabilità è un bambino ‘fallato’, quindi, come tutti i prodotti fallati non può essere messo in vetrina. Che figura ci faremmo?
Certo, non ci piace quest’idea e quest’immagine di noi stessi. Ma io ho il timore che invece essa ci rappresenti proprio. Del resto, se ci guardiamo un po’, credo non sia difficile riconoscere quanto siamo prigionieri delle apparenze. Donne e uomini. Firmati dalla testa ai piedi (perfino i bambini!). Poi… lifting, depilazioni, nasi ricostruiti, capelli trapiantati, seni e glutei rifatti, pance ricucite. Ci manca solo la firma del chirurgo estetico.
Non discuto sulla pulizia e la cura del corpo. Ci mancherebbe. Questo è sano e giusto. Non sano, però, è quando riduciamo il valore di noi stessi alla nostra sola immagine. Un’immagine tutta esteriorità. Perché da qui, il passaggio a guardare anche gli altri soltanto nella loro esteriorità è molto breve.
E allora diventa facile sentire il diverso, la persona con qualche disabilità, come uno da evitare. O, certamente, uno da non mostrare troppo. Mi raccontava la nonna di Giulia, una bambina di tre anni con sindrome di Down, che ha deciso di fotografare gli sguardi delle persone che incontra quando esce con la sua nipotina. Sguardi curiosi, sguardi di compassione, sguardi di ‘meno male che non è mia figlia’. Accanto a sguardi umani e teneri che incontrano un essere umano in cammino.
La scuola è maestra di vita, dicevo. È lì che i bambini imparano come rapportarsi con chi deve vivere con qualche problema in più. Ma i bambini lo imparano da noi adulti. Da come noi ci rapportiamo con gli altri. Che tristezza quando a scuola incontriamo bambini con problemi di disabilità, fisica o mentale, posteggiati in qualche stanza perché in classe ‘disturbano’e non permettono che si svolga il programma. E l’insegnante di sostegno, che la legge prevede come sostegno alla classe con un alunno disabile, fuori con lui.
E questo è un grosso problema. Lo so che gli insegnanti non vengono preparati per un lavoro di integrazione tra gli alunni. Le nostre università insegnano soltanto ad insegnare ‘contenuti’: italiano, matematica, inglese, ecc. Non preparano insegnanti che siano prima di tutto educatori (oltre che esperti nelle loro discipline).
Adesso, poi, sta emergendo un ulteriore problema. La crisi economica che ci stanno passando a colazione, pranzo e cena, costringe a tagliare le spese. E dove si comincia? Facile, cominciamo dai servizi per i disabili, tanto loro non si possono lamentare. Poi neanche votano! E così il Ministero ha trovato la soluzione: quest’anno ha ridotto ulteriormente il numero degli insegnanti specializzati (quelli ‘di sostegno’). A livello nazionale.
E qui da noi? Anche da noi, a Jesi e nella Vallesina, i Comuni e l’Azienda sanitaria seguono l’esempio. Anche loro stanno tagliando i servizi per i disabili. Il governo, ci dicono, ha tagliato i fondi. Dobbiamo risparmiare, quindi riduciamo le spese. Così anche a Jesi e nella Vallesina saranno ridotte le ore di assistenza educativa, a scuola, in casa, nelle comunità. Tanto la voce di questi poveri ‘disgraziati’ chi volete che l’ascolti? Devono già ringraziare il cielo per quello che hanno avuto. Sono uomini e donne fallati. Dovranno pure rassegnarsi, ci sono problemi più urgenti: lo stipendio dei pubblici dipendenti, per esempio, gli scatti di carriera dei dirigenti, gli assegni dei politici e degli amministratori. Così ci troviamo con gli educatori che perdono il lavoro e le famiglie con figli in difficoltà ancora più abbandonate a sé stesse, prive dei servizi essenziali.
Un pensiero per i politici e gli amministratori che si riconoscono nell’essere cristiani. Il Maestro diceva: “Quello che avete fatto a uno dei più piccoli di questi miei fratelli, l’avete fatto a me. […] Quello che non avete fatto a uno di questi piccoli, non l’avete fatto a me” (Matteo 25,40.45).
Chi è più ‘piccolo’ (= di poco valore sociale, non produttivo) di una persona disabile, nel corpo o nella mente?