17 apr 2011
I ragazzi, nostri maestri
Più o meno un mese fa le cronache ci avevano raccontato un episodio avvenuto in una scuola media. Mi ero preso un appunto, pensando di riprenderlo in uno dei nostri incontri settimanali, per rifletterci insieme. Quindi stava lì, in attesa. La settimana scorsa un altro episodio, impensabile, l’ha svegliato dal suo riposo e l’ha richiamato in causa.
Due fatti, dunque, molto vicini ma enormemente lontani. Vediamoli.
Il primo.
Siamo in una terza media. Fra gli alunni ce n’è uno disabile, affetto dalla Sindrome di Down. Lo chiamiamo Andrea. Questi giorni si sta organizzando la gita scolastica e la preside (il preside? - non ricordo se fosse un uomo o una donna) va in classe per dare ai ragazzi le disposizioni necessarie. Tra queste, dice anche che Andrea non potrà andare alla gita “…tanto lui non capisce”. Quindi, dato che lui oggi non è a scuola, chiede agli alunni della classe di non parlargliene neppure. Non gli devono dire niente.
Sembra tutto tranquillo. Quando una ragazzina alza la mano e dice: “Se Andrea non può venire alla gita, non ci vado neanche io”. Silenzio. Poco dopo un altro alunno alza la mano e dice la stessa cosa. Poi un altro, poi un altro ancora. E tutta la classe si dichiara solidale con colui che “tanto non capisce”. È un loro compagno. Nessuno andrà alla gita se non ci potrà andare anche Andrea.
Il secondo.
Siamo in parlamento. (Avevo scritto Parlamento con la P maiuscola, ma poi mi sono corretto: vediamo, se riusciamo a rimetterla…). In parlamento, dicevo. A un certo punto, in uno di quei dibattiti che sanno tanto di bagarre da osteria, un onorevole (onorevole?) - di professione medico, neuropsichiatra infantile - rivolgendosi verso una sua collega che è affetta da una grave disabilità fisica, urla: “Sta’ zitta, handicappata del c…!”.
Ascoltandole, mi sono subito chiesto se non sia stata la fantasia di qualche giornalista ad aver inventato due storie così incredibili.
Perché se la prima fosse vera, c’è veramente da mettersi le mani fra i capelli al pensare che nel XXI secolo ci sia ancora un dirigente scolastico (= un ‘educatore’) che ragiona così.
E se fosse vera la seconda, mi chiedo come sia possibile che abbiamo messo il governo del nostro paese nelle mani di esseri così indegni! Ma, forse, anche loro devono seguire gli esempi del loro capo-e-padrone che il giorno dopo, in una riunione di lavoro, ha chiuso raccontando una delle sue ultime barzellette, su ‘una mela da brevettare’, la cui volgarità farebbe arrossire di vergogna il più disinibito tra noi.
Ma riprendiamoci! Perché accanto allo sconforto che ci assale nell’ascoltare e nel vedere il comportamento di certi adulti, c’è da gridare di gioia nel vedere che ragazzini di tredici quattordici anni sanno esprimere tanta vicinanza e solidarietà con un loro compagno meno fortunato di loro. Ragazzi che hanno saputo dare una lezione a chi lezioni dovrebbe darne a loro. A tutti noi, gli adulti. Insegnanti, educatori e politici. Lezioni di vita. Lezioni di senso civico. Lezioni di rispetto e solidarietà umana.
Tante volte noi adulti ci lamentiamo dei nostri ragazzi e ci diciamo che sono superficiali, incapaci di riflettere e di ragionare sulle cose della vita. Li vediamo attenti solo ai loro telefonini e alle playstation. Prigionieri di Messenger o di Facebook. Li vediamo presi dagli zaini firmati e dall’ossessione per i capelli o per una maglietta alla moda.
Non sarà che noi adulti, persi nei nostri pregiudizi, non sappiamo come fare per ascoltare i nostri ragazzi, quello che loro veramente pensano e quello che per loro ha valore nella vita?
È vero, i nostri occhi sono spesso appesantiti dalla fatica del vivere. I problemi di lavoro, certe ingiustizie sociali, gli spettacoli di miseria umana che i nostri rappresentanti sempre più frequentemente ci offrono… questo e altro ancora rischiano di toglierci la speranza. La speranza che tante cose possano cambiare, che il mondo possa davvero andare meglio.
Guardiamoli, allora, i nostri figli. Bambini capaci di sorridere e di farci sorridere. Ragazzi capaci di sognare e di spendere tempo ed energie per dare una mano a chi ne ha bisogno. Ragazzi - come gli alunni di quella scuola media - capaci di essere solidali con un loro compagno al di là e al di sopra degli insegnamenti dei loro insegnanti.
Certo, loro hanno bisogno di noi, della nostra cura e della nostra attenzione. Ma perché non proviamo a guardarli, lasciandoci sorprendere da loro? Lasciamo fuori i nostri schemi mentali, irrigiditi dalla stanchezza per tante delusioni accumulate.
Io mi auguro che quel preside sappia far tesoro della lezione che i suoi alunni gli hanno saputo dare. Così come mi auguro che i nostri rappresentanti si sveglino dalla trance in cui sembrano miseramente caduti, addormentati dal pifferaio magico di turno.
Il mio desiderio, così come credo il vostro, è di poter ritornare a scrivere la parola Scuola con la S maiuscola. E la parola Parlamento con la P che l’istituzione più alta di una democrazia merita.
Questi giorni per noi cristiani sono giorni speciali. È la settimana santa. Nel silenzio e nella riflessione proviamo ad ascoltare la lezione di vita che tanti nostri ragazzi ci sanno dare. Ci sia di aiuto per ritrovare, anche noi, la speranza.