15 mag 2011
La benedizione originaria (2)
Riprendiamo oggi la nostra riflessione sulla lettera di Annalisa e Franco, due genitori preoccupati perché vedono il loro bambino che, frequentando il catechismo per la prima comunione, è preso più dalla paura del peccato che dalla gioia di poter incontrare nel suo cuore il Signore Gesù nella pienezza della comunione.
Ci dicevamo domenica scorsa di come sia facile scivolare in una religione della legge, fatta cioè di regole e di tradizioni che dicono ciò che si deve e ciò che non si deve fare, piuttosto che in una religione che coltivi la libertà del cuore, una religione dello spirito. Una religione, cioè, che diventa strada per una relazione d’amore con Dio, Padre-e-Madre. Dei bambini e degli adulti.
Oggi diamo uno sguardo ad un altro aspetto che, credo, gioca un peso non da poco in quest’atteggiamento. Nell’atteggiamento di quella parte di chiesa (= comunità dei credenti) che parla molto più di peccato e assai meno di relazione d’amore.
Per farlo proviamo ad aprire insieme la Bibbia. Questa Lettera straordinaria che Dio scrive a tutti gli uomini e le donne del mondo. Facendolo, ricordiamo che questa non è un libro di storia o di scienza, ma una raccolta di ‘piccoli libri’ (questo è il significato della parola greca biblìa da cui ha origine la parola bibbia) che, scritti in un periodo di circa mille anni, attraverso gli stili più diversi, ci fanno entrare nel grande mistero di Dio, visto nella sua relazione con il mondo e con l’umanità. Che in Lui trovano l’origine e la vita.
Leggiamo proprio le prime due pagine (Genesi 1 e 2). In un linguaggio mitico, esse descrivono con immagini molto suggestive e poetiche l’opera creatrice di Dio che pian piano (= in ‘sei giorni’) chiama alla vita il cielo e la terra, il sole e la luna e le stelle, le piante e gli animali. E infine, come a completare la sua grande opera, l’uomo e la donna. E la sera, al termine di ognuno dei ‘sei giorni’ in cui porta avanti la sua opera creatrice, quando guarda ciò che ha fatto, è felice perché vede che ciò che ha fatto “è buono”.
Fermiamoci un momento ad ascoltare queste parole del Creatore: le possiamo sentire in tutta la loro pienezza e luminosità. Esse sono una benedizione. E quando al ‘sesto giorno’ dà vita all’uomo e alla donna, queste sue creature speciali, così grandi da essere ‘simili a Lui’, li benedice.
Così ha inizio la relazione tra il Creatore e la sua creatura: con una benedizione.
È una relazione di piacere e di amore: proprio come tra un padre e una madre con i loro figli. E sempre nel linguaggio proprio dei miti, ci viene descritto il Signore Dio che “passeggiava nel giardino” dove vivevano anche l’uomo e la donna. Qui ha origine il genere umano: nell’intimità con il suo Creatore.
E’ solo successivamente che ci viene raccontata una storia che, sempre attraverso immagini di fantasia, ci pone davanti ad un processo di crisi dell’uomo. Crisi che lo porta verso la scelta di fidarsi più di sé che del suo Creatore. Dobbiamo arrivare al terzo capitolo per trovarci di fronte al racconto della ‘disobbedienza’ di Eva e di Adamo all’indicazione che avevano ricevuto dal Creatore di non cibarsi dei frutti dell’albero del bene e del male.
A questo episodio, solo dopo tanto tempo, con S. Agostino (siamo nel IV secolo d.C.), è stato dato il nome di peccato originale. Parole che non troviamo in nessuna pagina della Bibbia.
Perché tutte queste osservazioni? Perché quando nel catechismo o nella predicazione incontriamo tanta insistenza sul peccato piuttosto che sull’amore di Dio, noi rischiamo di tradire la Bibbia. Dimenticando la vera storia degli inizi, saltiamo a piè pari i primi due capitoli (= la benedizione originaria) e facciamo iniziare con un ‘peccato’ la storia della relazione di Dio con il mondo.
Il punto è che gran parte della catechesi e delle nostre riflessioni sembra che abbiano dimenticato che il ‘peccato’ è un incidente di percorso. Ricordavamo domenica scorsa che la parola peccato (nel greco biblico, amartìa) significa mancare l’obiettivo: come una freccia che manca il bersaglio e devia dalla sua traiettoria, dalla sua ‘strada’. Oggi ampliamo questa riflessione ricordando che non è con il peccato che ha origine la storia dell’umanità. La nostra storia ha inizio con una benedizione: che è relazione di vicinanza e di amore con Dio, nostro Creatore. Ed è questa il fondamento della nostra esistenza.
Cari Annalisa e Franco, su una pagina di giornale non possiamo approfondire oltre e dobbiamo fermare qui i nostri pensieri. Magari ci ritorneremo in altre occasioni. Ma vedete dove ci ha portati la vostra riflessione? Il vostro bambino ha la fortuna di avere due genitori che sanno cogliere il pericolo di lasciarci catturare più dalla paura del peccato che dalla gioia di essere in una relazione d’amore con Dio. Oggi, nel salutarci, ci auguriamo che la prima comunione sia una benedizione per lui e per tutti bambini, anche quelli i cui genitori non possono essere così vicini e attenti a questa dimensione della vita dei loro figli.
Vi ringrazio per il vostro intervento. Questi pensieri che abbiamo condiviso ci hanno fatto riflettere su quanto abbiamo bisogno di ritrovare la benedizione originaria se vogliamo ritrovarci nella nostra vera natura di creature benedette dal Creatore, e riscoprire, giorno dopo giorno, anche la dimensione spirituale della vita. Credo che proprio a quest’origine voleva riportarci Gesù di Nazareth quando ci indicava che la strada che conduce al Padre non è una strada fatta di leggi e leggine, di regole e di tradizioni, ma un cammino da percorrere “in spirito e verità”.
(2. fine)