30 ott 2011
La scienza ha un'anima? (1)
Non vi fate spaventare dal titolo. Vedrete, non sarà poi così difficile. È che dobbiamo farlo perché abbiamo bisogno di dare il nome giusto alle cose, se non vogliamo perderci tra le innumerevoli parole e i tanti discorsi che ci vengono offerti ogni giorno dai mezzi di comunicazione.
Partiamo da una notizia di questi giorni: la Corte di Giustizia Europea ha definito ‘illegale’ ogni brevetto di farmaci che derivasse da studi sulle cellule staminali embrionali.
Il tema è complesso, perché ogni valutazione sull’uso di tecnologie applicate all’umano presuppone un confronto con i principi etici, che possono anche essere diversi, quindi non condivisi, a seconda del pensiero che ognuno di noi sa e può coltivare. Ogni volta che ci troviamo a valutare decisioni e orientamenti in ambiti che coinvolgono la vita umana, diventa necessario saper riconoscere quali sono i nostri punti di riferimento. Per orientare i nostri pensieri.
La prossima settimana entreremo nel merito della sentenza della Corte Europea. Oggi, invece, tocchiamo un aspetto che è preliminare, ma che, se non chiarito, diventa fonte di equivoci.
Un equivoco di fondo che emerge continuamente nel dibattito sul rapporto tra scienza ed etica nasce dalla confusione che facciamo tra due termini: scienza e tecnologia. È confusione, perché troppo spesso usiamo la parola scienza quando invece dovremmo parlare ‘semplicemente’ di tecnica. Meglio, di tecnologia.
Proviamo a spiegarci.
Cos’è la tecnologia? La parola ha origine nel greco antico tèchne che significa abilità, arte. Potremmo dire che essa significa la capacità di fare, la possibilità di fare qualcosa, concretamente. Platone sosteneva che il significato vero della parola tèchne indica il possesso della mente, l’essere padrone e il poter disporre della propria mente. Ma Platone era un filosofo e la sua tèchne camminava insieme con la sua filosofia. È così anche oggi?
Oggi noi viviamo nell’era tecnologica. Così ci diciamo e, in realtà, così vediamo il nostro mondo.
Fin qui niente di male, naturalmente. In fondo possiamo ben pensare che la tecnologia è uno strumento nelle nostre mani, che ci permette di potenziare le abilità e le capacità di produrre quanto ci è utile, o addirittura necessario, per vivere. L’essere umano ha sempre utilizzato le capacità della mente che gli permettono di pensare, prima, e di escogitare poi modi e mezzi per realizzare i progetti del pensiero. Solo un esempio dei nostri tempi: pensate all’automobile che è, oggi, parte integrante nel nostro quotidiano. La tecnologica ci ha permesso di realizzare un oggetto che la mente è stata capace di pensare, ma che non poteva esistere se l’uomo non avesse saputo e potuto disporre della tecnologia necessaria. Costruire l’automobile, utilizzare un prodotto della natura come il petrolio per permetterne il movimento, ecc. Tutto questo evidenzia le potenzialità che la tecnologia mette nelle nostre mani. E la grande ricchezza che essa costituisce per l’umanità.
Ma la tecnologia ha un limite. E il suo limite è anche la sua risorsa.
Per comprenderci dobbiamo farci una domanda. Qual è il criterio di valutazione per dire se essa è valida oppure no? La risposta è semplice. E, nello stesso tempo, rischiosa. Perché c’è un solo criterio per definire se una tecnologia è valida oppure no: se funziona è valida, se non funziona non lo è. Se costruisco una macchina che si deve muovere in un certo modo, l’unico criterio di valutazione è vedere, prima se si muove, poi se lo fa come l’ho progettata io. Cioè se funziona per ciò che deve fare.
La risposta è semplice, dunque. Ma anche rischiosa, dicevo. Perché? Perché la tecnologia in sé non mi sa dire se ciò che fa (= ciò per cui l’ho progettata) è bene o è male. Se, cioè, il suo funzionamento - buono in sé perché funziona - è utile o dannoso. Per l’umanità, per il mondo. Il poter definire ciò che è bene e ciò che è male è compito dell’etica. Dobbiamo, cioè, fare riferimento alla nostra scala di valori.
Facciamo ancora un esempio, vicino a noi. Sono passati solo quattro mesi da quando abbiamo fatto un referendum sul nucleare. In quell’occasione, riflettendo insieme, ci dicevamo di come l’impresa di Enrico Fermi che, poco meno di ottant’anni fa, è riuscito a bombardare l’atomo, abbia messo nelle nostre mani un’energia straordinaria. Lo sviluppo della tecnologia nucleare, però, ha avuto due direzioni che risultano opposte nei loro effetti. La costruzione della bomba atomica credo sia difficile definirla un bene; di valore diverso, naturalmente, è l’uso che riusciamo a farne nel campo della medicina, sia in senso diagnostico che come strumento terapeutico.
Riprendendo il nostro ragionamento allora dobbiamo dirci che la tecnologia nucleare funziona. Ma l’uso che ne facciamo è ben diverso: in un senso va in direzione della vita, nell’altro va chiaramente in direzione della morte.
Non può bastare, allora, che la tecnologia funzioni. Come renderla, dunque, buona, cioè utile, per l’umanità, la natura, l’universo? Essa ha bisogno di fare un passo avanti: iniziare un dialogo con l’etica, cioè con la scala di valori degli uomini che la utilizzano.
È attraverso questo dialogo che la tecnologia diventa SCIENZA. Ed è la scienza il vero ‘prodotto umano’, perché essa è il risultato dell’incontro di una produzione meccanica con una produzione altrettanto nobile che è quella filosofica. Cioè con la dimensione del pensiero che sa interrogare se stesso e cercare risposte che indichino la direzione. Che abbiano un’anima, un cuore. Priva di questo dialogo è soltanto tecnologia, cioè forza cieca; una volta che si misura con l’etica (che abita la casa della filosofia), la sua potenzialità cresce perché essa ‘apprende’ a muoversi verso una direzione. È la scienza che raggiunge la consapevolezza della direzione in cui la tecnologia cammina: a vantaggio dell’uomo o contro di lui.
(3. È vita umana)