6 nov 2011
Novembre, la vita dentro
Oggi facciamo una pausa. Ritorneremo la settimana prossima sulla sentenza della Corte Europea sulle cellule staminali. In questa pausa ci facciamo guidare dalla natura. Perché ad essa noi apparteniamo.
La natura sta socchiudendo le porte e le finestre per prepararsi all’inverno, la stagione del riposo. Così, almeno, a noi sembra. Perché sappiamo bene che è un riposo molto operativo: le piante, gli animali, la terra tutta sembrano rallentare il loro ritmo. Ritmo esteriore, perché in realtà investono le loro energie per coltivare al loro interno la vita, che esploderà con tutta la sua luce e il suo calore nella prossima primavera e nell’estate.
Così è un po’ anche per noi. Le giornate che si accorciano, il freddo che sta arrivando, il tempo piovoso e rigido, tutto ci spinge a ritirarci in casa, a socchiudere le nostre ‘finestre’ con il mondo esterno e a trovare momenti di maggiore intimità e di minore confusione. Anche noi abbiamo bisogno, come il resto della natura, di investire le nostre energie nell’interiorità. Meno aperti all’esterno e un po’ più in compagnia di noi stessi.
La psicologia e la medicina ci dicono che la riduzione della luce del giorno rallenta certi processi biologici e influisce perfino sui nostri stati d’animo. Un po’ di melanconia, quasi di tristezza – che a volte chiamiamo perfino depressione – si fanno sentire e ci fanno compagnia. Proviamo a non averne paura e a prenderle, invece, come una buona occasione per stare un po’ con noi. In nostra compagnia.
Siamo così su di giri, solitamente… Agitati, di corsa, col fiato corto, con mille cose da fare o a cui pensare, con impegni che si susseguono e si rincorrono. Sonno agitato o addirittura ridotto, pasti presi al volo, bambini da scarrozzare di qua e di là, perfino le ferie si tramutano, a volte – o spesso? – in giorni di caos piuttosto che in giorni di riposo. Di piacevole riposo.
Ora è la natura stessa che si prende cura di noi e ci dice, accorciando il tempo della luce esteriore, che abbiamo bisogno anche noi umani di coltivare le nostre energie interiori. Il nostro mondo interno, anch’esso parte irrinunciabile di noi stessi. La ‘forma’ che sentiamo di dover coltivare per il nostro corpo, ora ci viene richiesta dalla nostra mente. Dalla nostra anima.
Essere in forma è diventato un must – così ci dicono le molteplici pubblicità con uno dei soliti inglesismi che deturpano la nostra lingua –, cioè un dovere. Ma non sembra anche a voi che la forma che ci viene proposta è solo esteriorità? Corpi senz’anima. E dov’è andato a finire l’uomo? Questo animale straordinario, capace di pensare, di riflettere sui suoi pensieri, di essere consapevole delle sue scelte, consapevole della vita che sta vivendo. Capace di coltivare una scala di valori, in grado di vivere sentimenti straordinari e vitali, come l’amore verso una compagna o un compagno di vita, l’amore per i figli, il rispetto e la gratitudine per i genitori. Capace di guardare la vita con uno sguardo che sa abbracciare il tempo in tutta la sua ricchezza: dal passato, al presente, al futuro. In grado di cogliere in sé stesso lo spirito della Vita e di farsi domande sul senso del vivere. In grado perfino di sentire nel suo cuore una presenza che riesce a cogliere, sia pure a fatica e tra mille interrogativi, come una Presenza Divina.
Il silenzio delle giornate più brevi, la penombra che il cielo ingrigito regala alla nostra mente: questo è novembre. Un tempo per noi. Per coltivare anche noi, come il resto della natura, la dimensione interiore della vita.
Dentro questo quadro possiamo guardare la buona tradizione che ci accompagna nel viaggio autunnale. A novembre proviamo a ricordare gli amici e i parenti che hanno terminato il loro viaggio nel tempo delle stagioni. Li ‘andiamo a trovare’ nei cimiteri. Andiamo a trovare loro, certo, ma se ci ascoltiamo un po’, sappiamo bene che andando lì dove abbiamo accompagnato il loro corpo, lì ci andiamo nella speranza di ritrovare un po’ noi stessi. Ci andiamo per rispondere a quel bisogno interiore di fermarci e di stare un po’ con i nostri pensieri. Magari anche con il pensiero della morte che, inspiegabilmente per noi, accompagna la nostra vita e ne è parte integrante.
Un mese fa ho incontrato un giovane uomo che viveva le sue giornate in compagnia di una malattia dolorosa e invincibile. Ascoltandolo, pian piano sentivo che il suo sguardo era molto più ampio del mio: riusciva a vedere al di là dei confini che i miei occhi di carne fanno tanta fatica a oltrepassare. Ora i suoi occhi stavano guardando la vita in una pienezza che sfugge ai nostri sguardi superficiali, attirati da quella ‘forma’ esteriore che tanto ci cattura. Con lui avevamo ancora tante cose da dirci, ma ora il linguaggio che ci unisce deve passare per altre strade. Ora sto scoprendo che posso parlare con lui quando parlo con me, che posso ascoltarlo quando mi ascolto. Il nostro dialogo continua, ma per continuare ha bisogno del silenzio, fuori, della quiete e della penombra di novembre.
Novembre ci fa questo regalo. Nei cimiteri che visitiamo possiamo ritrovare questa parte di noi che altrove, immersi nei rumori e nelle luci, facciamo fatica ad ascoltare. Gli amici e i parenti che lì ci aspettano hanno di sicuro qualcosa da dirci in proposito. Chi sa, magari questi giorni possiamo provare ad ascoltarli. E scoprire, se li guardiamo con attenzione, che abbiamo lì dei buoni maestri.