VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

20 feb 2011

Una pausa, per respirare

Siamo stanchi. Stanchi di sentire sempre le stesse cose. Alla tv, alla radio, sui giornali. Forse anche nei nostri incontri tra amici e conoscenti. Sempre costretti a porci da una parte o dall’altra. Con la necessità, l’obbligo quasi, di collocarci contro. Con il rischio di perdere di vista i valori, le idee, i pensieri che danno respiro alla nostra anima. Alla vita di ogni giorno.

 

Le parole gridate, gli slogan, i dibattiti che invadono le nostre serate davanti alla tv, dove ciascuno agisce come se suo unico scopo fosse quello di sopraffare l’altro, sperando così che la sua posizione soffochi il pensiero altrui. Le manifestazioni in piazza. Una piazza contro l’altra. Esponenti di partito che si parlano addosso, oltraggiando l’altro e gettando fango sull’avversario di turno. Giornalisti che alimentano il conflitto. Schierati, anch’essi, l’uno contro l’altro. Quasi in una gara per vedere chi è più bravo ad infangare l’avversario.

Uomini di governo incapaci di fermarsi, un momento. Per respirare. Per accorgersi e riflettere su come, di fatto, stanno trascinando sé stessi e gli altri in una lotta continua per la sopraffazione, nella ricerca esasperata del loro interesse personale. Del tutto dimentichi del compito che, attraverso il voto, gli italiani hanno loro assegnato: lavorare per il bene comune. Anche quando questo richiede di mettere in secondo piano l’interesse privato e la conservazione di privilegi.

 

Nulla contro gli uomini di governo. Sono necessari. Per amministrare il paese, la cosa pubblica (la res publica). «Io non detesto i re: - scrive K. Gibran, un poeta libanese del secolo scorso - che governino pure gli uomini, ma a patto che siano più saggi degli uomini».

 

Il punto, anzi, i punti sono due.

 

Il primo. Dobbiamo chiederci se i governanti che abbiamo oggi sono davvero più saggi degli uomini, degli uomini comuni, dei cittadini che essi governano. E qui ognuno dia il giudizio che ritiene più giusto. Con onestà e coscienza. E sulla base di questo giudizio prenderà la sua decisione: tenerceli ancora o darci da fare per cambiarli.

 

L’altro - che è il punto sul quale vorrei riflettere oggi con voi.

Tutta quest’aria di conflittualità sta rischiando di trascinare anche noi nella contesa e nella polemica. E ci ritroviamo appesantiti. Con il fiato corto. Costretti a respirare un’aria densa e inquinata. Che rischia perfino di generare, nella nostra mente, ansia, perdita di speranza, angoscia.

 

Appesantiti dalla polemica. Perché la polemica è guerra (polemica dal greco pòlemos che significa, appunto, guerra). E la guerra non costruisce. Mai. Lo sappiamo bene. Anche se corriamo continuamente il rischio di rimetterla in campo.

Proviamo, allora, ad ascoltarla questa sensazione di disagio e di stanchezza che sta ingrigendo le nostre giornate. Perché ascoltarla significa non perdere l’orientamento. Non perderci, anche noi, dentro il labirinto dei conflitti infiniti. Significa, in altre parole, restare svegli. Coltivare la speranza, che è ingrediente necessario anche per la nostra salute mentale.

 

La nostra anima ha bisogno di PACE. Di ritrovare la capacità di respirare. Che è capacità di ascoltare i nostri pensieri, di incontrare le persone che vivono con noi. In famiglia, a scuola, nel lavoro, nelle strade che percorriamo ogni giorno.

 

Forse stava ascoltando proprio questo bisogno dell’anima, sua e nostra, quando Gesù di Nazareth ha detto che il benessere e la felicità nascono nell’anima di chi lavora per costruire la pace. «Beati coloro che costruiscono la pace: saranno figli di Dio» (Matteo 5,9). La felicità (la parola greca makàrioi, che traduciano abitualmente con beati, significa anche felici) si nutre nel lavoro di costruzione della pace.

 

La pace si costruisce nel dialogo. Che è capacità di ascolto. Perché il dialogo per vivere ha bisogno di silenzio. Di uno spazio, cioè, dove le parole possano vivere ed essere ascoltate. Le parole mie e le parole dell’altro. Anche quando la pensa diversamente da me. Perché nessuno, che sia sufficientemente sano di mente, potrà mai pensare di avere sempre ragione e mai torto, di essere sempre in possesso della verità, e chi la pensa diversamente da lui sempre in errore.

 

La pace si costruisce nel rispetto dei valori che danno senso e significato alla vita. Primo fra tutti il rispetto dell’altro, nella sua dimensione di essere umano. Uomini e donne. Di destra e di sinistra. Cattolici e laici. Giovani e vecchi. Sani e malati.

 

Qualcuno mi dirà: ma dobbiamo scendere in piazza, manifestare per le nostre idee. Proprio questi giorni abbiamo avuto una dimostrazione di quanto la piazza sia stata forte e necessaria per ritrovare la democrazia in paesi che sembravano averla dimenticata. Hai visto la forza che la piazza sa esprimere?

È vero. Sono d’accordo. È necessario esprimere le nostre idee e i valori in cui crediamo.

 

Ma ora voglio farvi io una domanda: siete proprio sicuri che una manifestazione che nasce e si alimenta nell’essere contro qualcuno sia utile per costruire? Per costruire, o ri-costruire, la pace?

Io non credo. Perché l’altro, quello contro il quale stiamo manifestando, scenderà a sua volta in un’altra piazza. E ’sta volta lo farà per manifestare contro di noi.

Vedete? Sempre contro. E il contro non costruisce. Può solo distruggere. Ingabbiare.

Le guerre si fanno contro qualcuno.

La pace non è mai contro. Essa è a favore. A favore dell’essere umano. A favore del mondo che ci ospita. E che ci appartiene.

 

Ben venga, allora, la piazza. Con tutta la sua forza. Una piazza che sia a favore. Degli uomini e delle donne. Una piazza che propone valori. Che costruisce.