25 set 2011
Uno strano agricoltore
Ho incontrato un uomo. I suoi anni cominciano ad essere numerosi: Luigi sa bene che quelli che ancora passerà su questa terra saranno molti meno di quelli che ha già vissuto. Mi dice che ancora non sa se è credente, ma vuole parlare con me di una sua preghiera. Di una preghiera che gli è nata spontanea nel cuore dopo aver letto, un giorno, nel Vangelo di Giovanni le parole con cui Gesù di Nazareth parla di una vite e di un agricoltore. Me lo vuole leggere, Luigi se l’è scritto su un foglietto: Io sono la vite vera e il Padre mio è l'agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto lo pota perché porti più frutto (Giov 15,1-2).
“Quest'agricoltore non sa fare il suo mestiere” dice subito.
Poi aggiunge che si è scoperto, un giorno, che si era messo a parlare con questo contadino per chiedergli spiegazioni e, soprattutto, per dargliene. Sì, dargliene. Perché anche lui per tanti anni aveva lavorato in una vigna, una bella vigna che gli ha dato tante soddisfazioni. Ora l'ha ceduta perché non riesce più a starci dietro. Quindi, forte delle sue conoscenze, voleva spiegare a questo suo ‘collega’ che una vite, come ogni altra pianta, ha bisogno, sì, di essere potata, ma la potatura va fatta al punto giusto e una volta soltanto. Non ci si ritorna una seconda volta, poi una terza, poi una quarta sullo stesso ramo. Tagliare troppo poco non va bene, ma neanche tagliare troppo: rischi di far morire il ramo e di danneggiare la pianta. E questo contadino, tante volte, sembra che ci prenda gusto a tagliare. E tagliare. E tagliare.
Cerco di ascoltare. E Luigi mi racconta un po’ della sua vita.
Ha perso sua moglie tre anni fa per una grave malattia. Ora, da pochi mesi aveva incontrato una nuova amicizia che pian piano si stava trasformando, e tutti e due cominciavano a sentire che avrebbero potuto farsi compagnia e condividere il tempo che la vita avrebbe ancora regalato. Un incidente gli toglie anche lei. Con la moglie non avevano avuto figli, e ora si ritrova completamente solo, senza nessuno con cui condividere i pensieri e il tempo. Quando la sera torna a casa, questa è fredda, vuota. Né il riscaldamento d'inverno, né il sole dell'estate sanno riscaldarla. Figuriamoci poi la tv: piena di persone ‘sorridenti e felici’. “Lo so - dice - che non sono felici neanche loro, ma almeno hanno qualcuno con cui scambiare una parola e passare una serata. Lei non sa cosa vuol dire passare giorni interi senza neanche dire una parola. Per di più con la prospettiva che questo sarà il colore della vita che mi rimane ancora da vivere”.
Mi chiede che ne penso. “Lei che è un credente, che spiegazioni mi dà? Non le pare che ho ragione io e che quest'Agricoltore dovrebbe cambiare mestiere? Possibile che non si rende conto che mi sta tagliando continuamente? Pensa forse che questa sia una buona potatura? Cosa devo aspettarmi adesso? Manca solo che mi venga una grave malattia!”.
Poi m'invita a vedere anche altre situazioni. Mi parla della bambina di Melania e Salvatore, ne abbiamo sentito parlare per tutta l'estate: “Aveva proprio bisogno di essere ‘potata’ dei suoi genitori?”. Mentre l'ascolto mi torna in mente che proprio pochi giorni prima avevo incontrato una giovane mamma che con la sua bambina di quattro anni era andata a fare degli accertamenti in ospedale. In un reparto di oncologia pediatrica.
Che risposta potevo dare a Luigi? Visto che aveva la forza di chiamare preghiera queste sue discussioni con il suo Agricoltore, potevo soltanto dirgli che faceva bene a discuterci. Che non doveva mollare. Aveva il diritto di litigarci e di spiegargli il suo punto di vista. Poi - perché no? - anche di sapere le ragioni di lui, di sentire una risposta.
Mi tornavano alla mente le immagini e le parole di un uomo di nome Giobbe la cui storia ci è stata raccontata nella Bibbia. A leggerlo, possiamo subito comprendere che non si tratta di un uomo reale vissuto in una qualche parte del mondo. Ma forse proprio questa sua non-realtà storica lo rende ancora più vero, perché è immagine di ogni uomo o donna che sta viaggiando su questa terra. Anche Giobbe, dopo aver perso tutti i suoi beni e tutti i suoi familiari, gravemente malato e isolato da tutti, discute con il suo Signore e lo sfida a giudizio: “Io grido a te, ma tu non mi rispondi, insisto, ma tu non mi dai retta. Sei diventato crudele con me e con la forza delle tue mani mi perseguiti” (Gb 30,20). E Giobbe arriva a maledire il giorno in cui è nato.
Risuonano ogni tanto in me le parole che qualcuno - non sappiamo se uomo o donna, né quando sia vissuto - ha lasciato scritte in una preghiera molto antica: “Signore non rimproverarmi con collera e non correggermi con furore. Sono sfinito, tremano le mie ossa”. Poi, dopo un po’ riesce a sentire come una risposta, e continua dicendo: “Il Signore ascolta la mia supplica, il Signore accoglie la mia preghiera”. Anche queste sono nella Bibbia: nel salmo 6.
Caro Luigi, come vede non so rispondere ai suoi interrogativi. So soltanto che anche lei è uno dei nostri: uno che sta toccando con mano la fatica di vivere. Io credo che facciamo bene a discutere con il nostro Agricoltore. Chi sa, magari ci aiuta a scoprire anche nel nostro cuore le parole che il suo servo e amico Giobbe, a un certo punto, era riuscito a trovarvi: “Nudo uscii dal grembo di mia madre e nudo vi ritornerò. Il Signore ha dato, il Signore ha tolto: sia benedetto il nome del Signore” (Gb 1,21).
In certi giorni queste parole in me sono offuscate, in qualche altro riesco a ritrovarle, per poi perderle di nuovo, e ancora ritrovarle. In un fluttuare continuo. Ma forse è questa la nostra strada, oggi.