18 mar 2012
8 marzo… 1000 a.C. (1)
Forse non era proprio l’8 marzo… ma qualcosa di simile deve essere successo! Non nel senso della tragedia del 1908, quando 129 donne sono rimaste bruciate nella fabbrica in cui erano state chiuse per aver protestato contro le condizioni di lavoro cui erano sottoposte. Ma qualcosa di simile alla… scoperta della donna! Scoperta? Sì, perché sembra che abbiamo ancora bisogno dell’8 marzo per riscoprire la donna. Per pensare e riflettere sulla condizione femminile e su come noi uomini trattiamo le donne anche nel nostro evoluto ventunesimo secolo.
In un mito – che tutti conosciamo e che gli studiosi fanno risalire, nella sua formulazione scritta, a circa tremila anni fa – si racconta la storia del primo incontro tra un uomo e una donna.
Prima di leggerla, una premessa. Nella lettura tradizionale del racconto biblico noi usiamo la parola Adamo come se fosse un nome proprio. In realtà nel testo originale ebraico la parola’adàm non è un nome proprio, ma un nome comune che deriva dalla parola ’adamàh, che significa suolo, terra. Per questo, molto saggiamente, Enzo Bianchi suggerisce di tradurre la parola ebraica ’adàm con l’italiano terrestre perché il mito biblico racconta che il Creatore del mondo ha preso un po’ di terra per fare l’essere umano. Quindi come ’adàm deriva da ’adamàh, così dalla parola terra in italiano diciamo terrestre.
Così è scritto: «Il Signore Dio plasmò dal terreno tutti i viventi del campo e tutti i volatili del cielo e li fece venire davanti al terrestre (…). Ma per il terrestre non si trovò un aiuto simile a lui. Il Signore Dio fece cadere un sonno profondo sul terrestre, che si addormentò, poi prese uno dei suoi lati e chiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio costruì il lato che aveva preso dal terrestre in donna e la fece venire davanti a lui. E il terrestre disse: “Questa volta è osso dalle mie ossa e carne dalla mia carne. Costei sarà chiamata ’iššàh (= donna) perché da ’iš (= uomo) è stata tratta”» (Genesi 2, 19-23).
Se ci facciamo aiutare, nella lettura, dalle conoscenze che ci offre la nostra psicologia, possiamo cogliere due aspetti straordinari in questo antico racconto. Il primo: l’’adàm (= l’essere umano fatto con la terra) scopre il suo essere uomo e donna quando esce dallo stato di torpore, addirittura di sonno. L’altro: è solo quando l’uomo e la donna si trovano l’uno di fronte all’altro che l’’adàm dice le prime parole. Oggi guarderemo il primo, la prossima volta rifletteremo sul secondo.
È ormai un dato acquisito dalle scienze psicologiche che nel sonno noi entriamo in contatto con il nostro mondo interno, con le profondità del nostro inconscio. Il sonno ci isola dal mondo esterno e ci permette di entrare in noi stessi, liberi da sovrastrutture logiche e razionali. Ed è qui che ci porta, con la luce del mito, il nostro racconto: per scoprire la dimensione maschile e quella femminile, abbiamo bisogno di staccare con il rumore e gli stimoli del mondo esterno e di entrare nelle profondità del nostro animo. È soltanto lì che possiamo – finalmente! – scoprire che l’essere uomo e l’essere donna sono due dimensioni che ci appartengono e nelle quali soltanto possiamo ri-trovare noi stessi. E ri-trovarci con noi stessi.
Spesso questo racconto viene letto come se ci parlasse di una ‘dipendenza’ della donna dall’uomo, di un suo minor valore perché ‘costruita con un suo lato’ (o costola). In realtà, invece, esso ci dice che l’umanità raggiunge la pienezza del suo essere soltanto nel momento in cui scopre la sua ‘doppia identità’, di uomo e di donna.
Una doppia identità e una doppia appartenenza: l’appartenenza alla medesima specie, quella dell’’adàm, il terrestre, e l’appartenenza reciproca tra uomo e donna che si riconoscono “osso dalle mie ossa e carne dalla mia carne”.
Appartenenza alla medesima specie, senza subordinazioni o scale di valore. Poco dopo, infatti, il racconto continua dicendo: «Quando Dio creò l’’adàm (= il terrestre), lo fece a somiglianza di Dio: maschio e femmina li creò» (Genesi 5, 1-2). E poco prima, come a sottolineare l’appartenenza reciproca e il bisogno reciproco tra uomo e donna, il Creatore sembra riconoscere di non aver ancora completato la sua creatura. Quella in cui si riflette, quella che Gli somiglia. E tra sé e sé dice: “Non è bene che l’’adàm sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile” (Genesi 2,18). E dall’’adàm costruisce l’uomo (’iš) e la donna (’iššàh).
(1. continua)