25 mar 2012
8 marzo. Le prime parole! (2)
È certo un tentativo difficile quello che stiamo facendo. Rileggere un mito e cercare di ascoltare i significati profondi che esso trasmette all’uomo contemporaneo. All’uomo che, in pieno ventunesimo secolo, ha ancora bisogno di riscoprire il suo essere ‘due’: maschio e femmina. Riscoprire la pari dignità nella differenza. Mi ero espresso in modo critico, la settimana scorsa, rispetto al bisogno che abbiamo ancora di un 8 marzo. Forse, invece, è una buona occasione che ci permette di fermare, almeno per un giorno, la routine del quotidiano e provare ad ascoltare i nostri pensieri e ad interrogarci su come, donne e uomini, viviamo la nostra appartenenza. L’appartenenza alla medesima specie (quella dell’’adàm, il terrestre. Ricordate?) e l’appartenenza reciproca, nel maschile e nel femminile.
Oggi proviamo a guardare l’altro messaggio che ci viene da quell’antico racconto: le prime parole!
L’’adàm è già stato fatto dal Signore Dio. Egli è l’ultima delle creature, quella più preziosa. Quella in cui il Signore stesso si riflette, in cui vede se stesso. Siamo all’ultimo ‘giorno’ della creazione, il sesto giorno. Ad un certo punto il Creatore si rende conto che questa creatura speciale in cui Egli desidera riflettersi non è ancora ‘completa’. Tanto che tra sé e sé dice: “Non è buono che l’’adàm sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile” (Genesi 2,18). E si mette al lavoro.
Ora finalmente, quando il lavoro del Creatore è finito, l’essere umano (l’’adàm) si ritrova nella pienezza di sé: si scopre uomo (’iš) e donna (’iššàh). E ora, finalmente, può dire le sue prime parole, che sono parole di gioia e di pienezza: “Questa volta è osso dalle mie ossa e carne dalla mia carne!” (Genesi 2,23).
È soltanto adesso, nella pienezza del maschile e del femminile, che questa nuova creatura scopre la parola. E così raggiunge la sua completezza e la sua maturità.
La parola è lo strumento privilegiato di comunicazione. Con l’altro. E con noi stessi.
È con la parola che entriamo in comunicazione con i nostri pensieri e con le nostre emozioni. I pensieri, lo sappiamo bene, hanno bisogno della parola per essere costruiti. E hanno bisogno della parola per essere detti. Le emozioni. Quanta fatica facciamo certe volte ad esprimerle! Spesso ci scopriamo a dire ‘non trovo le parole’: perché sentiamo tutta la forza delle emozioni, la loro urgenza di essere espresse. E quando riusciamo a trovare le parole giuste, sentiamo che finalmente la tensione interiore inizia a sciogliersi. Emozioni di bene ed emozioni di dolore. Affetto, amicizia, piacere, gioia; ma anche sofferenza, dolore; e perfino rancore, rabbia, odio.
Tutte le emozioni hanno bisogno di trovare la parola per uscire. Al punto che quando questa non arriva, esse escono passando per un’altra strada: la strada dell’azione. Ma questa è una strada pericolosa. Perché l’azione rischia di sfuggire al controllo del pensiero e della ragione. Soprattutto quando l’emozione è troppo forte e il cuore e la mente non riescono a contenerla.
L’affetto e l’amicizia, che hanno bisogno di un abbraccio per essere detti, s’incamminano su una strada che costruisce. Ma la sofferenza interiore, il rancore, la rabbia, l’intolleranza, l’odio possono percorrere strade assai pericolose. Spesso, anche in questi ultimi giorni, incontriamo storie di violenza, perfino di morte, tra uomini e donne. Le statistiche ci danno numeri terribili: 127 donne uccise nel 2010, 137 nel 2011 e più di 30 dall’inizio di quest’anno. Ogni tre giorni una donna viene uccisa da un uomo, che spesso è il suo partner o un suo ex (marito, convivente, fidanzato).
La violenza nasce quando muore la parola.
E la parola, per vivere, ha bisogno di incontrare il silenzio. Che è ascolto e riconoscimento dell’altro.
Nel mito che abbiamo ascoltato lui e lei si riconoscono “osso dalle mie ossa e carne dalla mia carne”. Uomini e donne ci apparteniamo, l’un l’altro. Figli della medesima natura e costruttori della medesima storia. Compagni di viaggio in una vita condivisa.
Incomprensioni, silenzi, tensioni, conflitti… si possono sciogliere quando ritroviamo la parola. La parola per dire. E la parola per ascoltare. Per ascoltare noi stessi, i nostri pensieri e le nostre emozioni. E per ascoltare i pensieri e le emozioni dell’altro.