24 giu 2012
Il cielo
Nel mito dell’origine del mondo che troviamo nella prima pagina della Bibbia è scritto: «In principio Dio creò il cielo e la terra». I miti, lo sappiamo, sono costruiti dagli uomini e riflettono la cultura del tempo in cui essi sono nati. Le generazioni successive li leggono e li rileggono alla luce dell’evoluzione, culturale e scientifica, che l’umanità ha compiuto nei secoli successivi.
Il cielo e la terra stanno qui ad indicare la totalità dell’universo. Per il pensiero biblico l’origine di tutto ciò che esiste è nel Signore Dio. Nel suo ‘atto creativo’. Atto che tremila anni fa – quando possiamo collocare la formulazione scritta del testo – poteva anche apparire come compiuto nella sua pienezza e collocato in un tempo ben definito. Oggi, grazie alle conoscenze scientifiche, siamo in grado di coglierne il disvelamento lungo il processo evolutivo, che man mano comprendiamo e scopriamo nella sua straordinaria complessità.
Pur consci che ciò che chiamiamo cielo in realtà altro non è che uno spazio infinitamente grande e in continua espansione, che i nostri occhi vedono attraverso l’atmosfera che avvolge il pianeta terra, tuttavia continuiamo a usare questa parola per indicare qualcosa che vediamo e sentiamo come altro rispetto a ciò che chiamiamo terra.
E se le religioni, nel tentativo di immaginare un Dio e di collocarlo da qualche parte nel mondo, solitamente parlano del cielo come del luogo che lo ospita, una sorta di casa che Egli abita, così la terra e il cielo diventano la casa degli uomini e la casa di Dio; perfino chi non può accogliere nel suo pensiero l’idea di un Dio, guarda al cielo come qualcosa di altro, lontano, trascendente. Uno spazio o un luogo misterioso e incomprensibile. Ma uno spazio che, proprio come uomini che camminano sulla terra, sentiamo il bisogno di guardare e coltivare.
È da qualche settimana che in questi nostri incontri ascoltiamo momenti e situazioni che portano sofferenza. Storie di famiglie separate, storie di adulti imprigionati nel dolore del fallimento e nel peso delle incomprensioni, e storie di bambini non sufficientemente visti nei loro bisogni.
Anche per me è faticoso restarci dentro. E guardare il cielo che, pieno di luce, ci parla di estate e ci invita a coglierne la pace e la serenità, l’ho sentito come la possibilità di prendere una boccata d’aria. Di concedermi un momento di respiro, a pieni polmoni.
Non mi piace, però, l’idea che il cielo sia lontano e che io, noi siamo attaccati e imprigionati qui, sulla terra. E proprio questi giorni ho incontrato parole che sembravano giungere a proposito. Come se avessero sentito il mio stato d’animo, il mio bisogno d’aria. Sono parole di una donna, morta quest’anno, all’età di ottantanove anni. Una poetessa polacca, Nobel nel 1996, Wislawa Szymborska.
«Perfino le montagne più alte
non sono più vicine al cielo
delle valli più profonde.
In nessun luogo ce n’è
più che in un altro.(…)
La talpa è al settimo cielo
come il gufo che scuote le ali.
La cosa che cade in un abisso
cade da cielo a cielo».
È sempre così, e ancora una volta è successo: i poeti, gli artisti sanno cogliere le sfumature dell’animo umano e ne sanno descrivere la ricchezza e la profondità assai più e meglio di quanto sappiamo fare noi che, pur attenti nell’ascolto dei bisogni e dei desideri che giorno dopo giorno ci accompagnano, camminiamo a tentoni lungo la strada dello studio e della ricerca che le scienze psicologiche ci permettono di percorrere.
Perfino le montagne più alte / non sono più vicine al cielo / delle valli più profonde.
E La talpa è al settimo cielo / come il gufo che scuote le ali. Spesso ci sentiamo talpe, costrette a camminare con tutto il peso della terra sulle spalle, o addirittura precipitati in abissi fatti di solitudine, perfino di disperazione. Penso proprio che abbiamo bisogno di riscoprire nel nostro animo che la terra e il cielo non hanno confini invalicabili. Meno ancora sono realtà opposte, l’una all’altra.
Terra e cielo sono soltanto due parole che indicano aspetti diversi della medesima realtà: la vita. Meglio, la Vita – che, da credenti, possiamo anche chiamare Dio.