10 giu 2012
Me ne frego…!?
Quando Lorenzo Milani iniziò la sua esperienza di scuola aperta a Barbiana – siamo nel 1954 – scelse come motto per i suoi ragazzi I CARE. È un inglese facile: significa m’importa, mi prendo cura, ho a cuore. Era il contrario del motto fascista ‘Me ne frego’.
Lunedì scorso, uscito dal mio Istituto per la pausa pranzo, passavo per il Corso di Ancona. In un negozio di abbigliamento per bambini, dietro ai manichini eleganti con i loro vestiti sportivi, sulla parete di fondo vedo una grossa scritta. Enorme!
I DON’T CARE.
Anche chi è piuttosto digiuno d’inglese può comprendere che questa scritta dice il contrario dell’I CARE di don Milani. E, se proprio vogliamo guardarla tutta, possiamo sì tradurre elegantemente non m’interessa, non me ne importa, ma se possiamo permetterci di dirla in modo molto diretto, dovremmo proprio tradurre con il motto fascista ME NE FREGO!
Certo, un negozio non è una scuola, com’era una scuola quella di don Milani, e come sono – o dovrebbero essere – le nostre scuole: un luogo di sana educazione. Né è una parrocchia dove mandiamo i bambini per il catechismo o per passare il tempo libero, per divertirsi insieme in buona compagnia. È ‘soltanto’ un negozio di abbigliamento. Ma non vorrei che vi sfuggisse che è un negozio di abbigliamento per i bambini. Una catena di negozi per i bambini! Questi, lo sappiamo tutti molto bene, incamerano ogni segnale. Buono e meno buono.
Allora mi chiedo: cosa intendono dire questi commercianti ai nostri bambini che passano davanti al negozio con gli occhi catturati dai bei vestiti, o che vi entrano, con i genitori, per acquistare l’ultimo capo alla moda? Chi protegge i bambini da messaggi così subdoli e negativi?
I don’t care – non me ne importa – non è in fondo il motto che sta guidando le relazioni umane nel nostro mondo di oggi, in questa nostra affaticata società? Gesù di Nazareth diceva ai suoi di farsi prossimi (= farsi vicini, molto vicini) a coloro che si trovano nel bisogno. Insegnava che se vogliamo vivere dobbiamo uscire da una mentalità egoistica ed auto centrata. Da un modo di pensare e di vivere che mette il proprio interesse e il proprio tornaconto al centro di ogni pensiero e di ogni azione, in totale disinteresse e disattenzione verso gli altri.
Ma anche senza ‘scomodare’ il Vangelo, credo che il ritrovarci umani e la consapevolezza che siamo tutti ospiti della stessa casa – il pianeta terra – dovrebbe portarci a sentirci corresponsabili, con i nostri coinquilini, sia della nostra casa comune sia degli altri ospiti che la abitano. Cosa abbiamo fatto, in fondo, per meritarci di vivere qui, disponendo di ogni ben di Dio, quando al mondo più di due terzi dell’umanità non ha il necessario per tirare avanti?
Questi giorni in Italia ci ritroviamo di nuovo di fronte al dramma del terremoto. Ci sta passando proprio vicino. Da L’Aquila a Modena. Ci ha ‘saltati’. Chi sa, forse la terra stessa vuole ricordarci la fragilità e la relatività di tante cose sulle quali poniamo le nostre sicurezze. I nostri fratelli buddisti usano la parola impermanenza. Per dire che non c’è nulla che dura per sempre, che permane in maniera indistruttibile e che ci tutela da ogni malanno, fisico o spirituale.
I don’t care non mi pare un gran programma di vita. Non mi pare ‘umano’.
Che ne dite se il vostro bambino vi rispondesse così? Non m’interessa quello che dici o quello che fai per me. Non me ne importa!
Cari genitori, cari insegnanti, e noi tutti che abbiamo il compito di aiutare i nostri bambini a crescere, il compito di ‘proteggerli’ da ciò che può fare loro del male… se non siamo svegli, i messaggi (= gli insegnamenti) che passano saranno quelli che trasmettono gli altri. E un bambino che dovesse pensare e agire guidato da I don’t care non è un bambino felice, né un bambino libero. È solo un bambino chiuso in se stesso. Un povero-bambino-egoista.
I don’t care, allora, possiamo anche buttarlo dal nostro vocabolario. Dal vocabolario della mente e del cuore. Possiamo anche provare a ritrovare per noi adulti, e passare ai nostri bambini, un buon I CARE – mi sta a cuore.
Ampliare il nostro campo visivo, farci prossimi con chi ha bisogno, prenderci cura della natura e delle persone, accorgerci quando un compagno di scuola o un amico ha bisogno di una mano, è semplicemente vivere da esseri umani. Da umani liberi e solidali.