VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

23 set 2012

Sceglierci un amico

Nella vita due cose dobbiamo fare a nostro favore, ci dicevamo con il Talmud la settimana scorsa: trovare un maestro e sceglierci un amico.

 

Non so cosa ne pensate voi, ma a me sembra che se pure è difficile trovare un maestro, altrettanto arduo è sceglierci un amico. Forse è proprio questo che intende la sapienza popolare quando sostiene che chi trova un amico trova un tesoro.

Questa massima, che pure tutti conosciamo, nella vita di ogni giorno però spesso la dimentichiamo. Oggi usiamo con tanta facilità la parola ‘amici’ quando parliamo delle persone che frequentiamo. Senza distinguere troppo tra compagni (di gioco, di viaggi, di avventure, di fine settimana passati insieme, di cene o aperitivi, ecc.) e amici. Aristotele, duemila400 anni fa, insegnava che l’essere amici richiede di «comportarsi con l’amico come verso se stessi»; essere amici significa avere la capacità di vedere nell’amico «un altro se stesso». Se entriamo in questo pensiero, credo che alla parola amico riusciamo a dare un significato davvero grande. E, quando di qualcuno riusciremo a dire che è un amico, dovremo sentirci proprio fortunati e ringraziare il Cielo per avercelo fatto incontrare.

 

Il Profeta di Gibran diceva: «Se l’amico vi confida il suo pensiero, non nascondetegli il vostro, sia esso rifiuto o consenso». Essere amici non significa essere ‘melensi’. Non è la sdolcinatura o il sorrisino scambiato reciprocamente che ci fa essere e ci fa comportare da amici. Con un amico è necessario essere franchi e aperti. Nell’accordo e nel disaccordo. Nella condivisione piacevole dei pensieri e nella lite. L’amicizia richiede rispetto. E il rispetto comporta l’apertura del cuore e della mente. Esso chiede di non nascondere il nostro pensiero, anche quando sappiamo che l’altro la pensa e la vede diversamente da noi.

 

L’amicizia si costruisce nel dialogo. E questo nasce e cresce tra la parola e il silenzio.

La parola è lo strumento che usiamo per esprimere i nostri pensieri, siano essi di piacere o di sofferenza, siano essi allegri o tristi. Attraverso la parola, la mente e il cuore trovano la strada per aprire la porta e far entrare l’altro.

Ma la parola ha bisogno di incontrare il silenzio. Il silenzio dell’ascolto. Quell’ascolto che sa tacere e aspettare. Tacere, per non invadere tutto il territorio dell’incontro; aspettare, perché l’altro si prenda il tempo che gli serve per aprire e lasciar entrare. Ma aprire e lasciar entrare secondo il ritmo di cui la sua anima ha bisogno.

Di solito siamo impazienti, di dire subito, di rispondere subito a chi ci sta parlando, convinti che abbiamo già capito quanto ci sta dicendo. In questo modo, però, non ci rendiamo conto che potremo anche aver capito il pensiero che ci sta dicendo, ma non ci accorgiamo che non abbiamo ‘compreso’ che l’altro ci sta chiedendo un tempo. Un tempo che è ascolto, attenzione, vicinanza. Tempo che è nostro e che adesso gli regaliamo, gli dedichiamo. Tempo che è dono. Il dono di chi sa attendere e condividere.

 

L’amicizia, dicevo, ci chiede di essere franchi e aperti. L’amico non parla alle spalle dell’altro. Quando non è d’accordo, lo dice. Quando non condivide le scelte dell’altro, lo fa presente, gli dice le ragioni, gli fa vedere il perché del suo disaccordo. Perché l’altro possa vedere di più, e riflettere. Chi di noi può pretendere di possedere tutta la verità? Giusto una persona mentalmente labile è incapace di cogliere che gli altri vedono cose e aspetti della realtà che a lui possono sfuggire.

 

Figuriamoci poi quando si tratta di valutare situazioni che ci vedono coinvolti con le emozioni e gli affetti. Una persona coinvolta in una storia affettiva ‘non buona’ per lei, difficilmente se ne renderà conto. Le emozioni hanno una forza che oltrepassa di gran lunga la nostra capacità cognitiva: quella capacità che ci consente di valutare con sufficiente chiarezza e sufficiente libertà di pensiero.

Avere un amico che ci aiuti a vedere ciò che noi non riusciamo a cogliere è un grande dono che la vita ci fa. Coltivarlo è un grande dono che noi facciamo a noi stessi.

 

Forse era tutto questo che faceva dire a quei saggi che nel tempo hanno costruito il Talmud che nella vita dobbiamo fare due cose a nostro favore: trovare un maestro e sceglierci un amico.