19 feb 2012
Separazioni e... rancori (1)
Sono il padre di due figli, di diciotto e quindici anni. Da oltre un anno me ne sono andato da casa, ma non è stata una mia scelta. L’ha voluto ad ogni costo mia moglie, perché secondo lei il nostro matrimonio era finito, anzi non era mai cominciato perché quando ci siamo sposati lei dice che l’ha fatto solo perché aspettavamo il primo figlio. Quindi ‘non era libera’. Io ho provato in tutti i modi a farla ragionare, ma lei non ha voluto sentire niente e la vita in casa era diventata impossibile.
Ora le scrivo perché io non riesco più a parlare con lei: non la voglio proprio sentire. Incontro i miei figli, spesso, e stiamo bene quando siamo insieme. Ma verso di lei continuo a sentire un grande rancore, ogni volta che la penso. So che non è giusto nei confronti dei figli, ma come faccio ad accettare che lei abbia voluto mandare all’aria vent’anni di vita costruita insieme?
Aldo
Caro Aldo, ricorda quella battuta di Fantozzi: “Com’è umano lei!”? Mi sono permesso di sorridere solo perché quanto lei dice è proprio il segno che i suoi sentimenti sono assolutamente ‘umani’. È nella nostra umanità rispondere con sentimenti di chiusura verso chi ci fa un torto. E la chiusura è tanto maggiore quanto maggiore è il peso, per noi, del torto subito. Vent’anni di vita non sono certo poca cosa!
Ora, il fatto che lei abbia voluto condividere con me e con gli altri nostri lettori questi suoi pensieri, ci dice che lei, pur nella difficoltà, riesce a conservare un qualche equilibrio nei sentimenti. E non succederà mai che l’astio e il rancore prendano il sopravvento in lei al punto da portarla a compiere gesti gravi e irreparabili.
Queste mie parole potranno sembrarle esagerate. Infatti non sono per lei. Ma le notizie che con troppa frequenza ci arrivano dalla stampa le giustificano ampiamente, purtroppo. Un marito che uccide la sua ex poi si toglie la vita, un padre che prende il suo bambino e lo getta nel Tevere sono le ultime che abbiamo sentito. Le ultime, purtroppo, di una serie assai lunga. Un Istituto di ricerca (Eures) ci dice che ogni dieci giorni un padre o un marito (separati) pianificano un “suicidio allargato”: togliersi la vita trascinando con sé o la moglie o un figlio o qualche terza persona.
Fra i tanti problemi che accompagnano una separazione, ce n’è uno completamente sottovalutato. Da tutti. È lo stato di solitudine in cui ciascuno dei due coniugi viene lasciato dalle istituzioni che pure intervengono nel processo di separazione. Giudici, avvocati, servizi sociali, consultori familiari, presi dalle questioni e dalle liti per gli aspetti organizzativi ed economici tra i due coniugi, dimenticano completamente il bisogno di aiuto e di sostegno che questi due adulti hanno, nel momento in cui vedono fallire un progetto di vita sul quale entrambi avevano comunque investito.
Certo, ci sono anche separazioni in cui la conflittualità è più contenuta. Ma anche in queste il senso di fallimento di un progetto importante è comunque presente. E due persone, se pure adulte, hanno bisogno di farci i conti. Hanno bisogno, cioè, di metabolizzare (= ‘digerire’) la situazione di sofferenza che la separazione coniugale comporta. E quando questo processo di ‘digestione’ s’inceppa, è come quando ci si ferma lo stomaco perché abbiamo mangiato un cibo indigesto, o addirittura tossico. Lo stomaco si blocca e il cibo non va né su né giù. Nient’altro vi può entrare. E nelle situazioni più gravi dobbiamo addirittura ricorrere al medico per… una lavanda gastrica.
È un po’ così anche per la nostra mente e per il nostro cuore quando la vita ci mette davanti una situazione tanto dolorosa e tanto indigesta. Il fallimento di un matrimonio è proprio una di queste. Anche se oggi si potrebbe avere l’impressione che non sia così, tanto cresce la frequenza delle separazioni: pensate che, al momento, ogni anno in Italia ci sono 85.000 separazioni e 54.000 divorzi.
Ma non è la frequenza di un fenomeno che ne alleggerisce la portata per la nostra mente. Ogni fallimento è unico. Perché è il ‘mio’ fallimento! Il cuore non legge le statistiche, lui sente il suo dolore.
Lei, Aldo, dice che con i suoi figli ha un buon rapporto. Di certo questo è un fatto assolutamente positivo. Per loro e per lei.
Ma è necessario che lei possa ritrovare la strada per riaprire un dialogo con la sua ex. Ci vorrà del tempo, ma sarà necessario farlo. Per due ragioni principalmente. Una prima riguarda i suoi figli. Anzi, i vostri figli. Per loro il babbo e la mamma sono le loro due ‘metà’ che, per vivere, hanno bisogno di ritrovarsi insieme: possono anche stare concretamente in due case separate, ma non possono restare ‘separate’ da rancori e ostilità.
L’altra ragione riguarda lei. Conservare rancori nel nostro cuore fa male a noi stessi. Ci logora. Ci consuma energia vitale. Ci vorrà ancora del tempo perché lei possa ritrovare la strada di un dialogo, ma non ceda alla tentazione di volergliela ‘far pagare’ a tutti costi a sua moglie. Non ne guadagnerebbe nessuno. Neanche lei.
La ringrazio, Aldo, per averci dato l’occasione di riflettere su questi temi. Ci ritorneremo sicuramente, perché sono troppo importanti per essere liquidati in poche righe.