14 ott 2012
Ancora sul dialogo tra psicologia e spiritualità
Spiritualità e religione
La settimana scorsa, in previsione dell’incontro di sabato 13, parlavamo di psicologia e spiritualità, evidenziando come sia necessario che l’una e l’altra trovino la strada per incontrarsi e dialogare. Lo spazio di un articolo costringe a contenere i pensieri, con il rischio, a volte, di non riuscire a parlare con sufficiente chiarezza e completezza. E questa volta riprendiamo quanto ci stavamo dicendo perché credo sia importante non correre il rischio di alimentare una possibile confusione: identificare la spiritualità con la religione. Non perché la religione, meglio, le religioni non comportino anche una dimensione spirituale – tutt’altro! – ma perché non ci possiamo permettere di dare ad esse il ‘monopolio’ sulla spiritualità. Come se soltanto l’adesione ad una religione – sia essa cristiana, islamica, buddista, ecc – fosse la strada unica per coltivare una dimensione spirituale nella vita.
La ricerca di senso, il chiederci quale significato e quale scopo accompagni il nostro essere nel mondo, è una domanda che qualunque persona può attivare. Anzi, a mio parere, ognuno deve attivare se non vuole vivere in una sorta di anestesia mentale permanente.
Tutti sappiamo bene cosa sia l’anestesia. Più o meno direttamente l’abbiamo incontrata tutti. Lì è il nostro corpo ad essere ‘addormentato’, e il suo dormire permette al medico d’intervenire per restituirci uno stato di salute che altrimenti rischieremmo di perdere. Il problema nasce quando ad essere anestetizzato (= addormentato) è il nostro pensiero. La nostra capacità di riflettere e di ragionare. Con noi stessi.
È vero che tante persone ‘tirano a campare’, senza farsi troppe domande, anzi, rifiutando qualunque occasione dovesse presentarsi per provare a ragionare con se stessi sul senso della vita e sul perché si ritrovino, oggi, su questa terra. A volte ci spaventiamo perché ci diciamo che a questa domanda non c’è risposta. E qualunque risposta arrivi, viaggia sempre accompagnata dal dubbio. Da altre domande, da altri interrogativi. Quella certezza che colora di sé tutte le conoscenze che raggiungiamo attraverso i sensi quando guardiamo o ascoltiamo ciò che esiste intorno a noi, qui, di fronte a questa domanda, viene meno. Non c’è risposta ‘oggettivamente’ certa. Incontestabile.
Ma non può essere questo a giustificare e sostenere l’anestesia mentale.
La ricerca di senso su ciò che facciamo, sulle nostre scelte di vita, sulla vita stessa, è un bisogno che da sempre appartiene agli umani. “Fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza” diceva Ulisse ai suoi compagni di viaggio. Le filosofie e le religioni, che da sempre accompagnano la storia dell’umanità, sono strade che gli uomini hanno percorso, e percorrono, per costruire delle risposte. Meglio ancora, per alimentare le domande. Per dare un senso pieno a questa ricerca.
È nella ricerca che l’animo umano evolve. La nostra mente non può vivere senza costruire domande. Queste sono il cibo che permette al pensiero di vivere. L’ossigeno che lo fa respirare. L’acqua che ne nutre le cellule. Quelle filosofie e quelle religioni che volessero presentarsi come risposte che chiudono le domande, quelle domande che il pensiero umano costruisce, non sono strade buone. Rischiano di impoverire se stesse, di contraddire la loro natura, diventando strutture rigide, istituzioni che imprigionano. E la persona che vi aderisce cade spesso nell’addormentamento del pensiero.
Quando nel mito biblico il Dio Creatore consegna la terra nelle mani dell’uomo, maschio e femmina, gli dà il compito di “soggiogare la terra”. Che significa amministrarla, governarla, conoscerla. E conoscere la terra significa conoscere se stesso, perché è dalla terra che lui ha origine e ad essa egli appartiene.
La dimensione spirituale, dunque, cioè la ricerca di senso nella vita e della vita, appartiene ad ogni essere umano. In ogni epoca e in ogni cultura. Che egli senta di poterla coltivare attraverso l’appartenenza ad una religione o al di fuori di essa. Ognuno, credente o non credente, ha la sua strada. Da percorrere nel rispetto della propria e delle altrui scelte. In un dialogo aperto con chiunque altro, consapevoli che soltanto conoscere la terra (= conoscere se stesso) è ciò che dà senso alla vita.