VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

7 lug 2013

Convivenze... difficili

La monaca e la prostituta convivono in ognuno di noi. E l'una condanna l'altra. La divisione non è esterna, fuori di noi. Sarebbe più facile: peccatori da redimere e santi da beatificare. Quanti alibi coprono le nostre storie. La spaccatura convive in noi. È una piaga aperta. Come sanarla?

Cristina

 

Non è facile dare torto a Cristina che ci scrive queste parole. Poche. Ma non certo poco incisive. Lei va al centro del nostro cuore e ci invita a seguirla nel viaggio interiore.

Nell’incontro di qualche settimana fa ci scambiammo insieme delle riflessioni guardando come tanto facilmente noi siamo portati a distinguere e separare. Non il bene dal male, ma i buoni dai cattivi. Collocando, naturalmente, noi stessi dalla parte dei ‘buoni’, delle persone per bene; sistemando poi tutti gli altri dalla parte sbagliata. Nella società, nella scuola, nel lavoro, nella politica, perfino nella Chiesa – ci dicevamo.

Oggi Cristina ci porta invece all’interno di noi stessi. Al centro del nostro cuore. Invitandoci a guardare come la monaca e la prostituta – per quello che i due personaggi rappresentano – in realtà convivono proprio dentro di noi. Invitandoci a guardare come ognuno di noi ha in sé e coltiva nel suo cuore il buono e il cattivo, il bianco e il nero, il peccatore e il santo.

 

Fa parte dell’esperienza di tutti ritrovarci, in certi momenti, nel conflitto e nell’incertezza di fronte a situazioni e a scelte che la vita ci fa incontrare.

Video meliora proboque, deteriora sequor sono le parole che Ovidio mette in bocca a Medea, combattuta tra l’amore verso Giasone, l’uomo-eroe che ne cattura l’attenzione, e i suoi doveri verso il padre e la patria: “Se potessi, sarei più sana. Mi trascina una forza nuova, non voluta; la passione mi convince di una cosa, la mente di un’altra. Vedo ciò che è meglio e l’approvo, ma seguo il peggio”. Sappiamo quale sarà la sua storia: una tragedia indicibile ne segnerà il cammino. Ma non è questo che ora c’interessa. È la lotta interiore che questa giovane donna si trova a combattere, che proviamo a guardare. Perché essa ci fa intravedere i lineamenti di un conflitto che abita spesso il nostro cuore. “In me c’è la capacità del bene, ma non la capacità di attuarlo: infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio” riconosce anche Paolo scrivendo ai cristiani di Roma (7,18-19).

 

Questioni di poco conto, spesso. Questioni molto serie, altre volte. Un impegno di lavoro preso con promesse di serietà e diligenza, portato avanti poi strascinandone i tempi o con leggerezza professionale. Muratore, idraulico, insegnante, medico, infermiere, psicologo… ciascuno nel suo ambito professionale. L’impegno di fedeltà verso il proprio partner, di presenza e di responsabilità verso i figli, di cura verso i genitori ormai deboli e vecchi. Stanchezza, fatica, leggerezza, superficialità, egoismo a volte, quella tensione che mi fa guardare soltanto a me stesso e al mio tornaconto prendono il sopravvento.

 

È nella nostra umanità la commistione tra bene e male, tra il limite e la forza. Tra la capacità di uno sguardo ampio e la chiusura in un campo visivo così ristretto che m’impedisce di cogliere l’altro da me. Il vicino, il parente, il familiare. La difficoltà nel farmi prossimo (= molto vicino) con chi passa sulla mia strada. È il conflitto tra il bene che pure vedo e il limite che mi fa perdere l’orientamento. E il conflitto diventa lotta interiore, che a volte sembra esaurire le nostre energie. Quando non ci porta a perderci, nell’apatia e nell’insensibilità.

 

Cristina si chiede come sanare questa “spaccatura”. Due pensieri, credo, potrebbero accompagnarci.

Innanzitutto riconoscere con noi stessi che questo conflitto ci appartiene: appartiene alla nostra umanità. Nel mito biblico delle origini incontriamo l’essere umano, uomo e donna, che fin dall’inizio della sua storia si deve misurare con la necessità e la responsabilità di una scelta (rappresentata, nel racconto, dal dubbio se mangiare o no del “frutto dell’albero del bene e del male”). Seguire la strada che egli vede come strada di vita o correre il rischio di ritrovarsi su una strada di morte?

L’altro pensiero, che dovrebbe accompagnarci nel nostro cammino, ci parla della necessità di tenere aperto questo dialogo interiore. Un dialogo che sappia portare, accanto al senso di responsabilità, comprensione e perdono. Comprensione per noi stessi e per il nostro limite. Perdono, perché errare humanum est: sbagliare fa parte del nostro essere umani. Del nostro appartenere ad una storia che ci vede con la nostra forza e con il nostro limite. Un altro discepolo di Gesù, Giovanni, consapevole della difficoltà di tenere aperto questo dialogo interiore, scrive ai suoi cristiani: “Qualunque cosa il nostro cuore ci rimproveri, Dio è più grande del nostro cuore e conosce tutto” (2 Giov. 3,20). Parole di luce che arrecano Pace al cuore umano.