20 gen 2013
Un altro... giorno della memoria?
La pace con le donne (2)
Sono stati giorni davvero difficili quelli delle feste. Tra Natale e Capodanno, accanto ai sussulti della politica italiana, ci siamo dovuti misurare con fatti molto pesanti. Pesanti per noi umani. Perché ci hanno riportato con forza a dover guardare la distanza, la lontananza, l’ostilità a volte, che ancora caratterizzano le relazioni tra uomini e donne. Come se fossimo due mondi che non hanno trovato la strada dell’incontro e della con-vivenza.
Chi fa il conteggio dei fatti ci ricorda che in Italia, nel 2012, centoventisette donne sono state uccise dagli uomini. La maggior parte di questi omicidi compiuti da persone che avevano, o avevano avuto, un legame affettivo (marito, convivente, fidanzato). Ci riflettevamo la settimana scorsa ragionando insieme su certe ‘spiegazioni’ che, in maniera superficiale e meschina, rimettono in campo la vecchia logica che vede la donna sempre e comunque responsabile – o almeno corresponsabile – se un uomo le usa violenza. Come se noi uomini fossimo incapaci di controllare e guidare i nostri impulsi e le nostre reazioni. E di assumercene la responsabilità.
Per tanti giorni abbiamo sentito di una giovane donna che, in India, è stata violentata da alcuni maschi su un autobus poi gettata sulla strada con l’autobus ancora in corsa. Abbiamo visto – finalmente! – uomini e donne reagire e sollecitare anche il mondo della politica ad affrontare il problema della violenza contro le donne in quel lontano paese.
L’India si presenta al mondo con mille facce. La patria di Gandhi, e la terra dove quando ti nasce una figlia è una vera disgrazia. La terra in cui la spiritualità ti arriva con l’aria che respiri, e dove, nello stesso tempo, una ragazza non può sposarsi se la famiglia non è in grado di accompagnarla con una ricca dote. E così l’aborto selettivo, qui come nella ‘moderna’ Cina, diventa una pratica abituale: quando l’ecografia evidenza che il bambino atteso è una femmina, spesso la decisione è quella di interrompere la gravidanza. Perché “allevare una figlia è come innaffiare l’orto del vicino”. Così dicono.
La moglie è proprietà del marito. E quando questa non è all’altezza delle aspettative del ‘padrone’ viene abbandonata o fatta oggetto di atroci violenze. Tradizioni culturali appartenenti a tempi antichi, tuttora sostenute e alimentate da forme deviate di religione, continuano a vedere la donna come un essere inferiore. Donne ‘costrette’ a salire sul rogo insieme al marito morto non è solo storia d’altri tempi. Come non lo è la facilità con cui ad un uomo è concesso di buttar fuori casa la moglie (e madre dei suoi figli). Movimenti integralisti, deformazioni che pretendono di richiamarsi all’una o all’altra religione, sono fertile terreno per tali discriminazioni.
La grande e moderna Cina non è da meno nella guerra alle donne. La scusa, qui, non scomoda tradizioni religiose: qui vogliono controllare l’aumento della popolazione. Se ci sono meno donne si fanno meno figli. Quindi… anche qui l’aborto selettivo diventa pratica abituale.
In Iran proprio il mese scorso il Presidente ha estromesso dal Governo l’unica donna ministro. Era il ministro della salute. E i talebani, sempre in nome di una cosiddetta ‘religione’, continuano ad impedire a bambine e ragazze perfino l’accesso all’istruzione: le donne, si sa, sono esseri inferiori!
E nella nostra Italia?
Qui «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». È l’articolo 3 della Costituzione della Repubblica Italiana. Ma è proprio vero che donne e uomini godono di «pari dignità sociale, senza distinzione di sesso» quando, per avere un lavoro, ad una donna giovane viene preferito un maschio perché lei potrebbe… restare incinta? Quando il peso della casa – figli, faccende, pulizie, spese, organizzazione quotidiana – è tutto (‘quasi’ tutto?) sulle spalle di lei? Lui è un maschio, mica deve fare le faccende! E se un bambino sta male, come fa lui a portarlo dal pediatra? E se c’è da andare a parlare con gli insegnanti, come fa ad andarci lui? Lui lavora! E lei? Beh, ma lei è una donna! Quindi lei di lavori ne deve fare almeno due. O anche tre. «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale… senza distinzione di sesso».
Che fine ha fatto tanta saggezza? Eppure l’hanno scritto i nostri ‘nonni’, quelli che uscivano dalla guerra. E l’hanno scritto soltanto sessantacinque anni fa.
Lo so, quello che adesso vi propongo è un uso improprio di parole che ci richiamano la grande vergogna del secolo scorso. Il 27 gennaio è il giorno della memoria. Ne riparleremo.
Ma a me piacerebbe che, accanto a quel 27, noi Italiani trovassimo scritto nella nostra memoria un altro 27. Il 27 dicembre 1947: nasce la nostra Costituzione. «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale… senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali».