14 apr 2013
Ascoltando un vecchio proverbio cinese
Liberi di respirare (1)
(1)
Non puoi impedire agli uccelli di volare sopra la tua testa; puoi impedire loro, però, di fare il nido fra i tuoi capelli. Così un proverbio cinese.
Quante volte ci troviamo invasi da pensieri e da emozioni che volano in un turbinio ininterrotto sopra e dentro la nostra testa. Pensieri che si accavallano l’uno sull’altro. Pensieri che fanno rumore. Certe volte sono anche piacevoli. Se non fossero così rapidi e turbolenti. Altre volte, invece, arrivano con il colore della tristezza, o della sfiducia. Grigi, vuoti, come una batteria scarica, privi di energia.
Niente di anormale in tutto questo, niente di patologico. Lasciamo perdere certi esperti, sempre pronti a vedere disturbi mentali in ogni nostro comportamento, pronti a fotografare la nostra mente e a metterci nel loro album di figurine-pazienti. Il problema non è quando i pensieri “volano sopra la tua testa”, il problema nasce quando li lasci “fare il nido fra i tuoi capelli”. Perché allora essi si accavallano, s’intrecciano, e non è facile poi trovare un pettine capace di scioglierli. Così un nido ne richiama un altro, poi un altro ancora. E la nostra testa è prigioniera. I nostri pensieri, questa grande ricchezza degli esseri umani, diventano una specie di prigione. E ci tolgono la pace.
La pace. Con i nostri pensieri. Ma come si fa?
Guardiamo un bambino che gioca. Sulla spiaggia. Lui è lì, preso tutto da ciò che sta facendo: gli occhi, le mani, il corpo, la mente. Tutto è lì, in quel gioco che lui costruisce e cambia. Ordina e riordina. Guarda e ascolta. Il suo corpo, la sua mente, la sua fantasia parlano insieme. Non solo non si disturbano, anzi, dialogano tra loro, si fanno compagnia. Sono una cosa sola: è lui. In tutta la sua pienezza.
Ma oggi i bambini – già vi sento – non sono più così: non vedi che non stanno mai fermi, sono sempre agitati, non si accontentano mai di niente e chiedono continuamente cose nuove? Risposta: ma non vi viene il dubbio che siamo (stati) noi a trasformarli così? Cominciamo fin dalla culla a circondarli di aggeggi e aggeggini che luccicano, che suonano, che parlano, che corrono… che fanno tutto loro. Che cosa rimane a quel povero bambino, se non subire tutto questo, e doversi adattare a un ritmo che diventerà presto agitazione, scontentezza, insoddisfazione?
Pensiamoci un momento. Perché così facendo ci perdiamo una grande occasione. Anzi due.
La prima. Facciamo violenza al nostro bambino: lo trasportiamo velocemente nel regno degli adulti. Il multitasking. Avete presente quando apriamo sul computer tante pagine, una sull’altra, e passiamo dall’una all’altra con la velocità del vento senza guardarne, veramente, neanche una? O quando sul nostro tavolo di lavoro si ammucchiano fogli su fogli e non sai più da quale iniziare perché mentre ne guardi uno, c’è subito l’altro che ti chiama? Poi ancora un altro, e un altro ancora? Ecco. Così rendiamo la mente di un bambino. Piena di cose che ne ricercano l’attenzione. Piena di stimoli che, l’uno sull’altro, diventano una catena. Anelli che si attorcigliano su se stessi. E lo incatenano. Il cervello di un bambino è molto recettivo agli stimoli. Risponde all’uno, poi risponde all’altro, poi al terzo e così via. Fino a quando non ce la fa più. E tutti questi tentativi di risposta, accavallandosi l’uno sull’altro, si trasformano in agitazione.
Questo, con i nostri piccoli. E noi? Ritorniamo, per un momento, agli uccellini che volano sulle nostre teste. Perché qui vediamo l’altra occasione che rischiamo di perderci. Perdiamo un maestro. Non ci siamo accorti che il nostro bambino con il suo gioco sano e tranquillo c’insegna una cosa che, adulti, abbiamo dimenticato – dico dimenticato: perché siamo stati bambini anche noi… Questo nostro piccolo maestro c’insegna a stare con noi stessi. Nella quiete di ciò che in questo momento stiamo facendo. O di quel pensiero che in questo momento stiamo ascoltando. Ci insegna a leggere una pagina alla volta nel libro dei nostri impegni quotidiani. A stare qui dove siamo con il nostro corpo, adesso, e a starci anche con la nostra mente. C’insegna che “se non possiamo impedire agli uccelli-pensieri di volare sopra le nostre teste, possiamo però impedire loro di fare il nido tra i nostri capelli”.
Proviamo, allora, a fermarci un momento. Adesso. Ascoltiamo il nostro respiro.
Ci accorgiamo che stiamo respirando: un respiro, poi un altro, poi un altro ancora.
Questo è vivere. Con i capelli… liberi di respirare.