VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

23 giu 2013

Ad una coppia nasceranno due figli a distanza di un mese l'uno dall'altro

L'utero in affitto (1)

Ha 41 anni ed è incinta. A settembre partorirà il suo primo figlio. Ma in agosto, cioè il mese prima, gliene nascerà un altro. State tranquilli, non sto dando i numeri! Né facciamo magìe. È la situazione di una donna – meglio, di una coppia – che non riusciva ad avere figli. Dopo diversi tentativi di cui non abbiamo notizie precise, i due coniugi sono ricorsi alla fecondazione assistita, facendo collocare l’ovulo fecondato nell’utero di un’altra donna. Poi è successo che questa coppia ora ha una gravidanza naturale e aspetta il suo primo bambino a settembre. Ma anche il bambino che vive nell’utero dell’altra donna sta compiendo il tuo tempo, e nascerà proprio il mese prima, in agosto.

Non ho altri particolari di questa vicenda. Né, per la verità, m’interessa molto averne, dal momento che non è nostro compito, ora, valutare questa situazione particolare. Dato però che una notizia del genere non è poi così inverosimile, noi ne prendiamo spunto per fare insieme alcune riflessioni.

 

Una prima riflessione è sul nostro rapporto con la tecnologia. Oggi questa ci permette di fare cose che erano addirittura impensabili solo pochi anni fa. Trapianti di organi; cellule staminali che possiamo ‘programmare’ perché diventino quei tessuti e quegli organi di cui abbiamo bisogno; conoscenze e strumenti che ci permettono di modificare il DNA di una pianta o di un animale. Teoricamente anche di un uomo (!). Conoscenze e strumenti che rischiano di tradursi per noi in una continua tentazione di onnipotenza. E facilmente cadiamo in un equivoco che, se non teniamo sveglia la nostra mente, ci fa confondere il tecnicamente possibile con il lecito. Quindi con l’eticamente buono.

 

So che è un pensiero un po’ complesso, ma proviamo ad entrarci un momento. Ciò che ho chiamato tecnicamente possibile è tutto ciò che la tecnologia di cui disponiamo ci permette di fare. Possiamo trapiantare una cornea e riacquistiamo la vista. Trapiantare un cuore, un fegato, altri organi e riacquistiamo la salute che una malattia ci aveva compromesso. Possiamo intervenire sul DNA di una pianta e ne produciamo una ‘nuova’, che la natura non aveva ancora costruito (gli OGM). Possiamo fecondare un ovulo umano e farlo crescere o anche interromperne lo sviluppo e utilizzare certe sue cellule per altri scopi. Possiamo favorire l’evoluzione di una gravidanza, ma anche interromperla quando lo vogliamo. Siamo in grado di salvare la vita di una persona in situazioni di estrema gravità, e nello stesso tempo disponiamo di tutti gli strumenti per interromperla quando una qualche ragione ce lo fa decidere.

Tutto questo e tanto altro possiamo fare (= siamo in grado di fare). Ma qual è il confine tra ciò che possiamo fare (nel senso che disponiamo degli strumenti per farlo), e ciò che è eticamente corretto? Cioè lecito? Buono?

Qui deve entrare la nostra scala di valori. La nostra filosofia di vita. In altre parole, abbiamo bisogno di esplicitare a noi stessi qual è il senso della vita. E della nostra vita.

 

Lo riprenderemo la settimana prossima. Ora ritorniamo all’episodio da cui siamo partiti. Perché provo a dire, per chi non fosse sufficientemente informato, due parole su cosa s’intende quando parliamo di fecondazione assistita o di utero in affitto.

Tutti sappiamo che per concepire un bambino è necessario che uno spermatozoo e un ovulo s’incontrino, attraverso un rapporto sessuale, e si fecondino a vicenda. Quando questo non avviene – le ragioni possono essere le più varie – oggi siamo in grado di far ‘incontrare’ queste due cellule in laboratorio e di favorirne la fecondazione. Una volta attivata la fecondazione, l’embrione (= l’ovulo fecondato) viene immesso (‘impiantato’) nell’utero della donna. E se tutto procede bene, dopo nove mesi nascerà un bambino. A questo procedimento diamo il nome di fecondazione assistita. Le tecniche utilizzate sono diverse e il percorso è piuttosto accidentato. Ma non possiamo entrare qui nei tanti ulteriori particolari che pure dovremmo osservare.

Cos’è, invece, che chiamiamo utero in affitto? Quando la donna di una coppia non è in grado di accogliere l’ovulo fecondato nel suo utero, questo può essere impiantato nell’utero di un’altra donna che si presta a ‘ospitare’ l’embrione portandolo al compimento dei nove mesi. Quando il bambino nascerà, per la legge di quel paese – non tutti i paesi ammettono questa procedura, compresa l’Italia – non sarà figlio della donna che l’ha portato nel suo corpo e l’ha partorito, ma sarà figlio della coppia che ha fatto immettere nel suo utero l’embrione vitale. Parliamo di utero in affitto perché è come se la coppia avesse ‘affittato’ l’utero di un’altra donna per far crescere il proprio bambino.

 

Oggi ci fermiamo qui. Perché a questo punto dovremo: respirare, sederci un momento, e provare a ragionare, insieme, sul senso che può avere una scelta di questo genere.

La settimana prossima partiremo da qui.

(2. Un rene e un bambino

(3. Fondato sulla sabbia?)

(4. Un figlio tutto nostro)